Hakimi, a Madrid il ritorno alle origini. L'ex allenatore Ramis: "Ha sempre puntato in alto, è perfetto per Conte"
"Achraf, il ritorno di un estraneo". Si intitola così l'articolo scritto dai colleghi de El Pais dedicato all'interista Hakimi, che domani tornerà nella sua casa di Valdebebas, dove ha fatto tutta la trafila delle giovanili, come minaccia numero per il Real Madrid di Zidane. "Sarà una partita molto speciale per lui", spiega Marcos Casares, un amico del calciatore da quando dall'età di 12 anni si conobbero all'istituto Antonio López di Getafe. Un ritorno speciale e triste allo stesso tempo. Il coronavirus ha spostato la grande classica del calcio europeo dal Bernabéu a Valdebebas, il che avvicina il marocchino alle sue radici, ma la stessa pandemia lo allontana dal quartiere. "Non possiamo avvicinarci all'albergo, né siamo riusciti a vederlo a Milano. Continuiamo a parlare ogni giorno su WhatsApp e giocare a Fifa o Call of Duty. Anche se quando suo figlio lo chiama, ci lascia da soli. Sono impressionato da quanto sia un buon padre, a volte troppo".
Il racconto si sposta sulle parole di Miguel Ramis, allenatore di Hakimi nelle giovanili del Madrid: "L'ho visto crescere, l'ho conosciuto quando aveva 14 anni, al suo primo anno da cadetto, e non ho mai avuto dubbi sul suo conto. È uno di quei giocatori che fanno la differenza, una spanna sopra gli altri. L'ho portato ad allenarsi con i ragazzi più grandi ed era ancora il migliore". Tanto che gli scout del Madrid si informarono immediatamente su quella promessa: "Abbiamo un accordo con loro e alla fine del loro primo anno qui hanno chiamato: "Avevamo un accordo con loro, che volevano visionarlo al termine del primo anno con noi - dice Britos, direttore della Nabil City of Getafe Soccer School Achraf -. Proviene da una famiglia molto umile. Il padre ci ha chiesto cosa fare. 'Finché dura; È il sogno di un bambino', gli ho detto".
Il resto è storia, e l'Hakimi di oggi è quello di sempre: "Preferisce correre 40 metri piuttosto che 10, avendo campo davanti per sorprendere. Un sistema di tre centrali difensivi come quello che adotta Conte, in cui è molto protetto e più libero di attaccare, gli si addice bene. È arrivato dove è arrivato perché ha insistito. La strada era chiara: puntare sempre in alto".
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