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Icardi non è il Papa, ma non c'è da mordersi i gomiti: l'Inter ora è bella

di Antonello Mastronardi

Che bel clima, però. Dopo le polemiche sulla data del recupero, stucchevoli e anche un po’ inutili alla luce dell’affluenza di ieri pomeriggio, il derby si risolve sul campo in una sfida che di brutto ha solo le reti inviolate. L’onestà di Gennaro Gattuso, che nel finale riconosce ai nerazzurri una superiorità tecnica nel derby nonostante anche il Milan, qua e là, abbia saputo impensierire Handanovic, è la conferma del carattere ‘transnazionale’ di Rino, un uomo che non ha colori pur restando una bandiera tutta loro. Quanto alla gara, in effetti, è l’Inter quella che più dovrà sforzarsi invano di mordersi i gomiti, dopo che l’assurdo ha trovato posto a San Siro e l’arma più temuta e spaventosa a disposizione di Spalletti, per una volta, ha tradito.

L’eccezione, come recita lo stantio luogo comune, conferma la regola, e Mauro Icardi saprà farsi perdonare a modo suo già dalla prossima occasione. Un gol, d’altra parte, il rosarino lo aveva fatto, e solo la precisissima geometria del VAR ha potuto negargli la gioia. Se il proverbiale bicchiere mezzo vuoto che amiamo esaminare da queste parti suggerisce il tremendo presagio che l’Inter possa non andare in Champions proprio per questi due punti mancanti, proprio per quel maledetto gol sbagliato allo scadere o per l’altra – ancor più chiara – occasione capitata in precedenza sui piedi dell’argentino, pare cosa abbastanza ovvia che Mauro Icardi quel bicchiere lo riempirà e se lo berrà alla nostra salute sin dalle prossime occasioni. L’Inter attacca l’area con pochi uomini, e Spalletti lo ripete ogni volta: ecco perché se Icardi stecca, si fa dura, e ieri sera è arrivata la controprova finale di questa teoria.

Per fortuna, come il Papa quando parla ex cathedra, Mauro Icardi ha goduto finora del dogma dell’infallibilità in area di rigore. Ecco, il guaio è che la sua infallibilità è imprescindibile, e Icardi invece è ‘solo’ un attaccante fenomenale, che non vedremo mai – a sensazione – recitare l’Angelus con la papalina e l’anello di Pietro. Ma, al di sopra di tutto, resta l’impressione di un’Inter davvero in crescita verticale, con una bellezza di manovra cui da queste parti non siamo particolarmente abituati. Attribuire tutto il merito di questa svolta a Rafinha è certamente ingeneroso verso alcuni interpreti che si sono evoluti di loro. Che Brozovic potesse giocare davanti alla difesa, ce lo avevano insegnato i vari commissari tecnici della nazionale croata; che potesse essere costantemente il faro dei suoi nell’arco dei 90’, beh, era pura utopia. Insieme a lui, lo stesso Gagliardini fa meglio, più mobile nelle sue velleità da cursore e meno responsabilizzato con compiti d’impostazione. Il numero 8 brasiliano, però, sta portando davvero tutti a scuola di palleggio, e si tratta di una scuola di prim’ordine.

In quella scuola, manco a farlo apposta, insegna anche Joao Cancelo, trequartista prestato al ruolo di terzino, ma progressivamente capace di interpretare il ruolo anche con la sanissima prudenza italica. Che il loro riscatto stia diventando una sorta di banco di prova per società, proprietà e credibilità degli stessi obiettivi nerazzurri è giusto e ovvio. Tali componenti, però, possono giovarsi soltanto della qualificazione Champions. Dopo aver respinto l’assalto del Milan, nonostante i due punti perduti, l’Inter è ora chiamata a due trasferte cruciali, quelle né troppo facili, né troppo ostiche, di quelle che ormai siamo insomma abituati a guardare con sospetto. Non c’è occasione migliore per piantare e sventolare la bandiera della nuova Inter, quella che fa punti giocando a calcio. Godiamocela.
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