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Il processo dell’Inter di Conte: ha trovato subito sé stessa, poi si è smarrita. Un'analisi per riaccendere la magia

di Marco Lo Prato

In questi giorni d’incertezza, quanto manca il calcio. Non fraintendete: è giusto che tutto il sistema si sia fermato, seppur con colpevole ritardo. Con un’Italia che si sta sforzando di vincere questa situazione e, nel mondo del pallone, diverse squadre in quarantena (fra cui proprio l’Inter), c’è ben altro a cui prestare attenzione. 

È innegabile tuttavia che, iniziato il weekend, la mente si sposti con veemenza a quei momenti in cui si aspettava che prendesse vita la routine “pallonara”, con l’anticipo del sabato alle 15, quello delle 18, per poi far coincidere l’apice emotivo del fine settimana in contemporanea alla partita dell’Inter. Una squadra affascinante, quella di Antonio Conte: in una notte di metà agosto ha trovato se stessa, forte delle sue convinzioni tattiche e di una condizione fisica scintillante. Ha cominciato ad abbattere avversari uno dopo l’altro e, nonostante qualche passo falso europeo, ha dimostrato di poter competere a qualsiasi livello, contro qualsiasi squadra. A inizio 2020, l'incantesimo sembrava essersi un pochino spezzato. Un po' di nervosismo, la marea qualitativa del gioco di Conte che si è ritratta, e l'assenza di alcune prestazioni out of the box, ha fatto arretrare l'Inter e - in contemporanea all'ascesa della Lazio - l'ha relegata al terzo posto, ad una distanza mai così profonda dalle prime due posizioni. Non si parla solo di punti, ma anche di propositivà ed entusiasmo che sembravano mancare nelle ultime uscite dell'Inter. Con tutte le attenuanti del caso, visto uno sballottamento emotivo dovuto alle vicende del CoVid-19 che non hanno eguali nella storia recente del calcio. Ma questo deve essere il momento in cui si guarda al futuro, nel calcio e nella vita, per un domani migliore. Quindi, almeno per quel che ci compete, proviamo a riavvolgere il nastro della stagione e a capire chi ha reso i primi mesi di Conte così speciali e cosa serve affinché la magia torni a permeare San Siro, che non aspetta altro che essere riempito di nuovo da ottantamila cuori che pulsano al ritmo di un forsennato 3-5-2. 

IL GIOCO - Uscite dei difensori aggressive, centrocampisti che si sganciavano in fase di pressing, esterni con i piedi sulla linea laterale. E, ancora, una circolazione palla veloce, risalite dalla difesa, cambi campo a creare un costante uno contro uno. L’Inter è stata una macchina di divertimento perché riusciva ad applicare i dogmi fluidi del calcio di posizione di Conte in un contesto ibrido, adattandolo all’avversario. Il primo tempo contro il Barcellona al Camp Nou, i primi 25’ contro il Borussia a Dortmund rimarranno delle luci fortissime da ignorare, a guidare le prossime mosse della dirigenza. La miglior Inter è quella, si deve lavorare per far sì che Conte possa applicare quel ritmo e quella qualità per tutti e novanta i minuti. Da metà ottobre la squadra ha iniziato a essere falcidiata dagli infortuni e ha perso molto dello smalto a cui aveva abituato i tifosi e gli addetti ai lavori. Ci sono state varie fasi dell’Inter di Conte, identificabili con uno o più giocatori che hanno fatto la differenza e hanno trascinato tutto il gruppo. Secondo voi chi sono?

L’INASPETTATO - È innegabile: nel primo mese e mezzo di Serie A, l’Inter era Sensi e altri dieci. Impossibile quantificare l’apporto del centrocampista che non ti aspetti, quell’enzima impazzito che ha fatto diventare la miscela di Conte l’esplosivo perfetto. Sensi ha accelerato l’Inter ed è stato il protagonista nelle notti più belle: al Camp Nou si sono innamorati di lui quando hanno visto una ripartenza dal basso (palla ad Handanovic) finalizzata da un suo slalom vicino all’area e un tiro che è andato di pochissimo oltre la traversa. Fosse entrato, forse staremmo parlando di un’altra stagione. Prima di Lukaku, prima di Lautaro, l’Inter è stata Stefano Sensi: quando si è infortunato lui, Conte ha dovuto cambiare molti meccanismi di gioco, per dare un po’ più di dinamismo. Ci sono stati giocatori che sono usciti e hanno saputo sfruttare la continuità d’impiego (basti pensare al pilastro che è diventato Nicolò Barella) e si sono ritagliati uno spazio importante nell’Inter del futuro. Ma come il primo mese e mezzo di Sensi in Serie A con la maglia dell’Inter, si è visto poco. Al momento, Sensi è fermo da quasi cinque mesi e non si sa se e come riuscirà a tornare. Quel che è certo è che l'Inter lo riscatterà. A volte basta una giocata, un doppio passo, un'apertura spettacolare per riaccendere la fiammella e far tornare tutto come prima. L'Inter ha bisogno di un Sensi, per tornare a sognare. 

NEW KING IN TOWN - Se Conte ha potuto cambiare alcuni meccanismi per rendere la squadra più imprevedibile è stato grazie ad un’accoppiata vincente che il tecnico salentino ha contribuito a rendere una macchina da gol inarrestabile. Romelu Lukaku ci ha messo meno di 90’ per segnare il primo gol con la maglia dell’Inter e ha impiegato poco tempo più a convincere tutti i tifosi di quanto potesse essere decisivo nell’economia di un campionato. Big Rom è un uomo spogliatoio, il fulcro attorno a cui si è creato lo spirito della nuova Inter voluta da Marotta. Parla cinque lingue, ha ventisei anni ma vanta un’esperienza decennale nel calcio professionistico. Lui, insieme a giocatori mondiali come Godin, hanno permeato lo spogliatoio di un’atmosfera nuova, unita. E segna una caterva di gol. Non fosse stato per la stagione senza senso di Ciro Immobile, staremmo parlando del vice-capocannoniere della Serie A. Lui e Lautaro Martinez hanno formato una coppia d’attaccanti che l’Inter non aveva in rosa da quando giocavano insieme Diego Milito e Samuel Eto’o, esattamente dieci anni fa.

Lukaku si è guadagnato un posto speciale nelle menti dei tifosi una sera di novembre, a Praga: è quella la sua partita totale, la sua firma più importante. Una gara decisa dallo strapotere fisico con cui ha sopraffatto gli avversari, avvicinandosi quanto più possibile a quel che era Adriano nel suo massimo splendore. Ha segnato gol pesanti, contro Milan e Napoli, in alcuni momenti ha “pagato la cauzione per tutti”, con giocate da fuoriclasse o la zampata del bomber. Basti pensare alla gara d’andata contro la Sampdoria, quando l’Inter rimane in dieci e deve difendere il vantaggio: il primo cambio di Conte? Dentro Lukaku. Il gigante belga è riuscito anche lì dove molti erano scettici: a migliorare il suo bagaglio tecnico. Tutti si ricordano alcuni momenti d’inizio anno, quando spariva dal gioco se costretto a giocare spalle alla porta. Grazie al lavoro incessante insieme allo staff di Conte, è riuscito a essere un fattore anche nei momenti più complicati, chiedendo spesso la palla sul petto per poi smistarla. In questo senso, è emblematica la prestazione del San Paolo di inizio gennaio. Anche lui nelle ultime settimane ha avuto una flessione fisiologica, avendole giocate tutte: ma è innegabile che Lukaku sia l’anima dell’Inter e, ora che sta entrando nel prime della sua carriera, deve diventare un giocatore totale.

LA REGIA OLANDESE… E UN TORO - Completa il terzetto di giocatori che hanno guidato l’Inter attraverso tutte le difficoltà stagionali un olandese discreto e puntuale, sempre in anticipo sull’avversario, sempre con il piede pronto a lanciare di quaranta metri un compagno. Stefan De Vrij è stata una rivelazione ancor più impressionante rispetto all’anno scorso, quando già si era ritagliato un posto nel cuore del popolo interista in coppia con Milan Skriniar. Dopo un piccolo infortunio che gli ha impedito di essere in campo nelle prime due uscite di campionato, De Vrij le ha giocate praticamente tutte, raggiungendo un livello qualitativo che lo ha issato nel pantheon dei difensori della Serie A. Solo Acerbi ha mantenuto la sua stessa continuità di rendimento ed è con il centrale della Lazio che De Vrij si gioca la palma di miglior difensore della Serie A: la sua firma nel derby è stata la ciliegina sulla torta di una stagione in cui è stato sempre in prima linea, a guidare la difesa e a giocare in alcuni casi da centrocampista aggiunto. Sempre con il sorriso, sempre a disposizione dei tifosi per un autografo o una foto. Qualità umane indiscusse.

Nel momento in cui Godin e Skriniar avevano difficoltà ad entrare nei meccanismi di Conte, De Vrij si è calato immediatamente e ha continuato a migliorare. Per questo è lui uno dei giocatori simbolo di questa stagione, forse ancora più di Lautaro Martinez. Il Toro si è dimostrato un attaccante elettrizzante, capace di giocate fuori dal comune abbinate ad una foga agonistica che esalta ogni domenica gli ottantamila di San Siro. Ha solo ventidue anni, eppure c’è stato un momento in cui le sue reti hanno issato l’Inter fino al primo posto in classifica. Paga due grandi scotti: le prime uscite stagionali, in cui non è riuscito a imprimere il suo ritmo alle partite, e l’ultimo mese, quello successivo all’espulsione rocambolesca contro il Cagliari. Il suo stop è coinciso con un calo fisico e con le persistenti voci di un suo trasferimento in Catalogna in estate: non è questo il momento di pensarci, tuttavia. C’è ancora troppo da fare, per abbandonarsi a quel che sarà. Una situazione delicatissima da gestire, un campionato da capire se e come finire. Tutto il resto verrà. 


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