Julio Cesar, dal Chievo ai massimi livelli internazionali
Adesso sembra tutto più facile: le ultime prestazioni hanno finalmente consentito a Julio Cesar di essere notato anche a livello internazionale. Il portiere brasiliano sta vivendo forse la sua migliora stagione da quando è all’Inter, la migliore da quando gioca a pallone. La prova sfoderata contro il Manchester United ha destato anche i media di tutto il mondo, che probabilmente non si sarebbero aspettati di veder sbattere Ronaldo e co. Contro un muro. Resta intatto, infatti, il luogo comune che vede i portieri brasiliani depositari di un talento inversamente proporzionale rispetto ai giocatori più offensivi. La tendenza è ormai invertita, non è un caso se negli ultimi 20 anni sono emersi portieri come Taffarel, Dida e, appunto Julio Cesar. Meraviglia invece che un portiere brasiliano possa essere considerato, oggi, il migliore tra i suoi colleghi.
Perché il numero uno nerazzurro si è guadagnato sul campo, con tanta pazienza e lavoro, questa etichetta di prestigio, alla soglia dei 30 anni. Una carriera sotto le righe quella di Julio Cesar Espindola, che ha indossato i primi guanti a livello professionale con la maglia del Flamengo, guadagnandosi poco per volta la stima del suo ambiente calcistico. Poi, nel 2003, la convocazione per la Confederations Cup come vice Dida, una sorta di consacrazione per lui. Le sue prestazioni non sfuggono all’occhio di Roberto Mancini, che chiede alla società di fare un piccolo investimento per portarlo in Italia. È il gennaio 2005 quando Julio Cesar si trasferisce al Chievo in “parcheggio”, dal momento che i nerazzurri non possono tesserare un altro extracomunitario. I sei mesi a Verona lo vedono più in tribuna che in panchina, davanti a lui ci sono Marchegiani e Marcon. Una scelta coraggiosa per lui, quella di accettare il parcheggio: il rischio di perdere la nazionale (con cui aveva vinto da titolare e protagonista la Coppa America nel 2004) appena conquistata e di finire nel dimenticatoio non giocando mai non lo ha spaventato. L’Inter era un’opportunità unica per non dedicarle tutti gli sforzi possibili, accantonando altre ambizioni. In sei mesi l’estremo difensore interista ha imparato le dinamiche del calcio italiano, oltre alla lingua, crescendo sia come uomo sia come professionista. Il rientro alla casa madre, nella stagione 2005/06, lo vede subito vincitore della Supercoppa italiana e, in breve tempo, titolare al posto di un mostro sacro come Francesco Toldo, “punito” per l’errore contro lo Sporting Lisbona in Champions League.
Da quel momento inizia una sorta di ballottaggio che alla lunga vede trionfatore Julio Cesar, titolare inamovibile dell’Inter anche nella stagione successiva, quella dei record, durante cui para due rigori consecutivi contro Siena e Ascoli. Nonostante l’espulsione nella prima giornata della stagione 2007/08 (contro l’Udinese), il portiere brasiliano si conferma uomo squadra della corazzata nerazzurra, aiutandola a conquistare il terzo scudetto consecutivo. Nel frattempo, l’estremo difensore fa carriera anche in nazionale, partecipando come terza scelta nel suo ruolo ai Mondiali 2006, fino a diventare titolare fisso con l’arrivo di Dunga sulla panchina verdeoro. A ottobre 2008, in occaisone di Brasile-Colombia (0-0), Julio Cesar stabilisce il record di imbattibilità in nazionale, con 492 minuti senza subire gol. Una crescita costante, vistosa, che lo ha portato ai massimi livelli nel calcio internazionale. Un’esplosione frutto di lavoro, sacrificio e di un’umiltà rara nell’ambiente, che lo porta a essere felice per aver compiuto il proprio dovere, piuttosto che per i complimenti di Mourinho, dei compagni, degli avversari e dei media. Forse è questo l’aspetto che lo fa apprezzare da tutti: un carattere mite, sereno, che non si esalta quando ne avrebbe motivo e non si deprime quando le cose vanno male. Un equilibrio perfetto tra vita privata e lavoro, tutt’altro che abituale per un ruolo, quello di portiere, che storicamente prevede un pizzico di follia per esprimersi al meglio.