L'episodio di Bergamo è l'emblema di una situazione insostenibile
Cosa possono avere a che fare due brutti episodi come quelli di Milano e Bergamo che hanno coinvolto personaggi pubblici come il premier Silvio Berlusconi e il tecnico dell'Inter Josè Mourinho? Apparentemente nulla, trattandosi di due ambienti diversi e caratterizzandosi da conseguenze molto differenti dal punto di vista della gravità. Nessuna intenzione di accostare il folle gesto di chi ha colpito sul volto il capo del Governo, con quello decisamente meno traumatico dell'allenatore nerazzurro nei confronti di un giornalista, ma una chiave di lettura che possa avvicinare i due accadimenti potrebbe essere la tensione. Nel nostro Paese, dal punto di vista politico e da quello sportivo (soprattutto calcistico) si sta vivendo una fase di nervosismo ad alti livelli di esasperazione, che non fa bene né all'immagine di chi fa parte di tali contesti, né alla serenità di chi segue a distanza ciò che accade. Mettendo da parte il gravissimo episodio di violenza occorso a Berlusconi (a cui vanno i migliori auguri di pronta guarigione da parte della nostra redazione), il nostro ruolo impone una riflessione sul 'piccolo' ma significativo episodio di Bergamo, dove nel post Atalanta-Inter lo Special One si è lasciato andare a un gesto di nervosismo spropositato nei confronti di Andrea Ramazzotti, collega del Corriere dello Sport con il quale siamo in contatto e al quale va la nostra solidarietà.
Un comportamento inappropriato, quello di Mourinho, che si è reso ancora più antipatico ai media (e, di riflesso, anche al pubblico) dopo i recenti atteggiamenti contro i giornalisti, rimasti finora limitati a risposte fredde e silenzi assordanti. Stavolta il tecnico portoghese ha varcato un limite, nulla di così grave per fortuna, niente che non possa risolversi con delle scuse. Ma quel che più sorprende è il modo in cui il nervosismo di Mou si sia concretizzato, una dinamica che probabilmente neanche lui si sarebbe atteso. Nessuna giustificazione per quello che ha fatto, sia ben chiaro, ma cercare di comprenderlo è un obbligo. Il portoghese non è una persona scorbutica, ostruzionista o maleducata, piuttosto è un provocatore, un esibizionista ma sempre entro quei limiti che danno materiale a chi scrive e offrono spunti di commento a chi sente. Viene da chiedersi cosa stia accadendo nella sua testa in queste ultime settimane, da scatenare una tensione di tale portata che mai gli era stata riconosciuta in passato. Certo, essere l'allenatore dell'Inter richiede delle spalle molto larghe, ma questa non è una novità e lui ne è sempre stato consapevole. La squadra, poi, sta facendo bene, nonostante qualche prestazione censurabile. Infine, Mou non ha alcun problema contrattuale, ha lo stipendio garantito per altri tre anni e ciò dovrebbe essere un tranquillante per le sue ansie professionali.
Invece c'è qualcosa, o meglio ci sono diversi aspetti che minano la serenità di Mourinho e lo trasformano in un personaggio a dir poco antipatico ai più. La guerra iniziata con i giornalisti è emblematica del rapporto conflittuale concretizzatosi recentemente. Il tecnico non ha gradito alcuni punti di vista contro il gioco dell'Inter e palesi attacchi gratuiti alla sua squadra e, di conseguenza, alla sua gestione. Inoltre, allo Special One non sono piaciute le polemiche create ad arte attorno al suo rapporto con i vari Balotelli e Santon, di cui lui si ritiene responsabile e per cui non vuole interferenze esterne, soprattutto se distruttive. A ciò si aggiunge il continuo riferimento alla sua possibile sostituzione a fine anno con Blanc, allenatore del Bordeaux designato dai media a diventare l'erede di Mourinho sulla panchina nerazzurra. Illazioni che hanno portato il diretto interessato a porre in evidenza quanto per lui, rispetto ad altri colleghi, possa essere facile trovare una nuova panchina. Dalla pressione mediatica si passa poi al rapporto con gli arbitri, a causa del quale solo in questa stagione il tecnico ha rimediato già due espulsioni (contro Cagliari e Juventus), l'ultima delle quali lo ha costretto ai box durante la sfida contro l'Atalanta. Un'occasione che gli ha consentito di prendere la palla al balzo e trincerarsi nel silenzio più totale, interrotto solo per Inter Channel. Non a caso, l'intromissione esterna (del Corriere dello Sport) durante la sua intervista alla tv tematica lo ha mandato in bestia, perché ha alterato la sua strategia di negarsi ai giornalisti. Con tutti questi ingredienti, non appare dunque insolito che la minestra abbia un sapore amarissimo.
Ieri un altro allenatore che a lungo ha pagato le critiche giornalistiche, Alberto Malesani, ha porto la mano a Mourinho, sostenendo che il collega ha ragione quando si lamenta del comportamento dei media nei suoi confronti. Sono i giornalisti, a suo dire, che alimentano le tensioni, pubblicando notizie e commenti severi oltre ogni misura e spingendo l'opinione pubblica verso certe direzioni. Parole che pesano soprattutto in un contesto come questo in cui Mou avrebbe tutte le ragioni per sentirsi solo, anche se la squadra e la società gli continuano a dare il proprio sostegno e sarà così fino al termine della stagione. Al di là dei luoghi comuni (arriva il Natale e dobbiamo essere tutti più buoni), forse sarebbe meglio che tutti gli interpreti di questa rappresentazione teatrale che è il calcio si diano una calmata, dai giornalisti ai giocatori, dai tecnic iai dirigenti. Un clima così non fa bene a nessuno e porta a episodi come quello di Bergamo, non solo per colpa di chi se ne macchia. Solo per il fatto di definirsi speciale non significa che Mourinho sia fatto di ferro. E' un uomo e quando un uomo viene messo in discussione per il modo in cui si comporta o nel proprio lavoro, è normale che possa reagire male.
Quanto accaduto dopo Atalanta-Inter non deve perciò essere l'ennesimo appiglio per dare addosso al portoghese, ma un'opportunità per riflettere sulla strada che il nostro calcio sta imboccando. Nell'aria c'è troppo nervosismo, forse dando il giusto peso alle cose si potrebbero evitare continue discussioni, polemiche inutili o partite come il recente derby d'Italia, dove si è fatto di tutto tranne che giocare al calcio. Chi allena e gioca deve accettare serenamente le critiche quando sono meritate, ma chi scrive deve capire che non è necessario polemizzare per vendere più copie. Se il prodotto calcio è meritevole, continuerà a vendere senza artifizi o trucchi dialettici. Tra poco arriverà la sosta, magari è il caso di approfittarne per fare una bella e sana riflessione.