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L'Inter è cresciuta grazie al suo ultimo della classe

di Antonello Mastronardi

Promessa, delusione, fischiato, platinato, indolente, inutile. Marcelo Brozovic arrivò per pochi milioni (circa 8) dalla Dinamo Zagabria e, fin dai primi tocchi di palla, scambiati col connazionale Kovacic che sarebbe partito di lì a qualche mese, è sembrato il classico acquisto azzeccato a buon mercato. Anzi, anche di più: le sue potenzialità da centrocampista totale, quasi un gemellino slavo di Lampard, erano così chiare che, col tempo, hanno finito per ritorcerglisi contro. Le attese sul conto di Brozovic si sono infatti ripetutamente infrante contro un atteggiamento a dir poco indolente, spesso a causa di una sorta di estraneità tattica rispetto al copione del tecnico di turno, ben più di frequente in virtù di un ambiente e di un contesto già di loro inclini a sbracare e a mollare alla prima difficoltà: se sei tutt’altro che uno studente modello e, per giunta, finisci nella classe dei discoli, buonanotte a ogni speranza di redenzione.

Vederlo alla guida del centrocampo dell’Inter, forse del centrocampo più esteticamente pregevole e tecnicamente funzionale che si sia visto all’Inter negli ultimi anni, è in qualche modo una soddisfazione incredibile. L’ultimo della classe, stanco di passare le giornate dietro alla lavagna, si è dato una scossa niente male ed è diventato l’alfiere della serietà e della presenza. Che poi, per la verità, Brozovic sfaticato non è mai stato, dal momento che ha sempre primeggiato nelle statistiche inerenti ai km percorsi. Peccato, però, che le sue corse erano perlopiù a vuoto, forse a partire da un ruolo (mezz’ala o, peggio, trequartista)  che lo costringeva a figuracce immeritate. Dal canto suo, però, il croato sbuffava così tanto a ogni pallone perso che in molti dimenticavano che tutto il resto del fiato lo usava per correre.

Oggi Brozovic è tuttocampista, dominatore in mezzo sin dalla gara col Napoli, quando la cosa aveva stupito particolarmente, vista anche la caratura dei diretti avversari. Soprattutto, la sua pulizia è diventata la chiave per un’uscita serena e spesso pericolosa per gli avversari del pallone dalla difesa nerazzurra. In qualche modo, il suo impatto nel ruolo di perno basso di centrocampo è importante quanto e più della novità di Rafinha nell’economia della nuova manovra nerazzurra. Finalmente, la palla non è esclusivamente affidata alle maratone solitarie degli esterni offensivi, e tanto ci basta per gr8idare al miracolo o, quantomeno, alla lieta novella.

Accanto a lui, ora l’uno ora l’altro ora entrambi, l’apporto di Cancelo e Rafinha ha conferito tanta qualità ai nerazzurri che oggi nessuno, se non lo stesso brasiliano, si sognerebbe di toccare il pallone per una terza volta prima di passarlo al compagno. Il segno dei mutati tempi, d’altra parte, può essere ricercato proprio in quest’articolo. Che Perisic e Icardi risolvano una gara dell’Inter non è certo una novità, se si fa eccezione per i 3-4 mesi di letargo invernale in cui il croato si è deliberatamente rifugiato fino alla scorsa gara: ciò che stupisce, stavolta, è che chi scrive avverta poco o nulla il bisogno di parlare di loro, di celebrarli ancora, nonostante la stupenda festa per i 100 gol nerazzurri del capitano e la ritrovata vena dominante dell’ex Wolfsburg. Questo è il bello della nuova Inter, di una coralità e di un calcio ben fatto che da tempo non si vedeva qui, e che invece costituisce la cifra distintiva di Spalletti. Restituire quelli davanti al ruolo di finalizzatori, senza addossar loro responsabilità da salvatori della patria, significa essere cresciuti e aver imparato dagli errori. Viste le gare che ci attendono, vista la gara che ci attende, non poteva esserci notizia migliore.

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