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L'Inter si fa vintage ed espugna il San Paolo. JoJo c'è, Handa surreale

di Marco Lo Prato

Si sa, il vintage crea sempre tendenza. Ecco allora che l’Inter torna a vestire i panni della squadra corsara d’inizio stagione, cinica e ruvida, conquistando grazie ad un’asfissiante difesa e alle perle di Jovetic e Ljajic l’accesso alla semifinale di Coppa Italia, dove incontrerà la vincente della partita tra Lazio e Juventus. Una vittoria nei novanta minuti a Napoli (nel 2011 i nerazzurri vinsero ai rigori) mancava dal 1997, quasi vent'anni. Ma quel che conta per l’Inter è l’aver interrotto una striscia pericolosa di risultati altalenanti, con una prova di forza sul campo della squadra più in forma del campionato che al San Paolo non aveva mai perso. I nerazzurri, disordinati ma cinici, reggono il colpo e continuano per la strada imboccata da settembre: gioco farraginoso, impenetrabili in difesa e lampi di classe a piacere. Limiti e ambizioni di questa Inter convivono, senza un’apparente soluzione. La manovra non è ancora fluida, tant’è che in più di un’occasione i centrocampisti hanno commesso qualche ingenuità di troppo (Kondogbia dopo neanche cinque minuti ha perso un pallone a metà campo che poteva dimostrarsi letale) e lasciato troppo campo agli avversari. Che, dal canto loro, sanno perfettamente come mandare in difficoltà i nerazzurri: pressing altissimo e raddoppio sul portatore, con Allan che si muoveva sempre sulle tracce di Kondo e Medel costretto a fare da playmaker. Quando gli spazi si aprivano in ripartenza, ecco che sia il francese sia giocatori come Ljajic potevano essere più incisivi. I due gol, del resto, nascono da quest’ultimo tipo di situazioni. 

DIFESA D’ACCIAIO - L’Inter è arrivata a Napoli con la voglia di vendicare una partita, quella del novembre scorso, che l’ha vinta sconfitta immeritatamente. Lo stile di gioco è sempre quello, arroccato ma mai rinunciatario. A Murillo, in confusione nelle ultime partite, viene concesso un turno di riposo in favore di Juan Jesus, alla prima partita da titolare giocando da centrale. Con Miranda, tutto è più semplice: il duo brasiliano è affiatato e JJ tiene bene il contatto fisico con Gabbiadini e non trema neanche quando entra Higuain. Ma è Miranda a salire di colpi, quando è necessario: subito dopo il gol, il Napoli imbastisce l’assedio all’area nerazzurra, ma l’ex Atletico Madrid compie quattro interventi provvidenziali: di testa, di corpo, in scivolata… E’ pressoché ovunque e spegne sul nascere ogni intenzione bellicosa dei padroni di casa, con la solita - invidiabile - calma. Come al solito da non dimenticare le meraviglie di Handanovic, che anche a Napoli si esibisce nel suo show: la parata con cui al 92’ infrange i sogni di rimonta del Napoli è da urlo, se non fosse che appena qualche giorno fa ne ha compiute di altrettanto belle a Bergamo, contro l’Atalanta. Lo sloveno è in un momento di forma surreale. 

MANCINI E SARRI: IL PROBLEMA E' PIU' AMPIO - Impossibile poi non parlare di quello che è successo dopo la partita, del dibattito scaturito dagli insulti volati tra Roberto Mancini e Maurizio Sarri. Impossibile perché, come spesso succede, c’è bisogno dello sport, in Italia, per rendersi conto che il campanello d’allarme per certe situazioni surreali sta suonando già da un po’. Un paese in cui l’essere considerati omosessuali è ritenuta un’offesa è una realtà in cui si perde in partenza. Il problema non è solo se questo atteggiamento esce sui campi di calcio, ma quando si manifesta nella vita di tutti i giorni. Di un insulto sul rettangolo di gioco non è mai morto nessuno, ma è la mentalità che spinge una persona ad usare certe parole come insulti ad essere grave e controproducente. Non è l'atto in sé da condannare, ma l'idea di poter insultare qualcuno per il colore della propria pelle o della preferenza sessuale. E' incivile, barbaro, perlopiù nel sentirsi giustificati perché "sono cose di campo". Lo sport deve essere uno strumento catartico ed immedesimativo, ma finisce per essere lo specchio in cui una civiltà grossolana e imperfetta si guarda e nota i suoi errori solo quando se ne commette uno talmente enorme da destare scalpore. E’ un problema di cultura che prima di sconfiggere bisogna accettare come reale, altrimenti si tornerà sempre al punto di partenza.

JOJO E LE RISPOSTE - Oltre a Sarri e Mancini, l’uomo della serata è sicuramente Stevan Jovetic, autore di una prestazione opaca, rivitalizzata dagli ultimi venti minuti di furore, con un gol e un assist all’amico Ljajic. Del resto un grande giocatore lo si vede quando c’è da ballare nell’occhio del ciclone. Non è stato un mese facile per JoJo, tra panchine e qualche sussurro di mercato. Ha la sua occasione e non vuole sprecarla, anche se la prima ora abbondante di gioco è poco fruttuosa: qualche colpo, sì, bei dribbling, ma niente che accenda davvero la scintilla. Poi esce Perisic, entra Palacio e gli spazi si aprono. Ed ecco l’estro del fantasista: la pennellata con cui spiana le porte della semifinale alla squadra e al tempo stesso riabilita il suo ruolo all’interno del gruppo, è sublime. Mira alla porta e bang, il colpo perfetto. Vista e considerata quest'Inter, vincente nonostante le solite difficoltà d'impostazione, la sensazione è che moltissimo del futuro dell’Inter dipenda da come lui e Icardi si integreranno nei meccanismi d’attacco della squadra: la difesa solida c’è, ora bisogna aumentare il numero di gol, per continuare a sognare o quantomeno centrare un posto in Champions League. 


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