La bellezza dell'Inter: grande contro i migliori d'Italia e i luoghi comuni
Esiste un’arte della demolizione, di invenzione neanche tanto recente, secondo la quale l’Inter non merita perché non gioca bene, ha un portiere superlativo, un difensore che li ferma tutti e un attaccante che spesso segna al primo pallone toccato; e, ancora, ha troppi stranieri, una proprietà cinese e una maglia troppo scura per le dirette televisive. Non è l’Inter che tiene, è Handanovic che fa i miracoli e sono le stelle a sorridere all’Inter, in attesa che un’imprecisata ruota giri e il vento vada a gonfiare le vele di altri. Senza voler per forza ribattere a notazioni che squalificano di per sé la bocca –o la penna– che le emana, diventa superfluo anche sottolineare la straordinarietà di un punto a reti bianche al San Paolo. Chi scrive, ad esempio, era abbastanza convinto che a Fuorigrotta fosse necessario farne un paio, “ché tanto loro almeno due volte la rete te la gonfiano”: aver limitato ben al di sotto del minimo sindacale le occasioni limpide sui piedi degli attaccanti azzurri è di per sé un capolavoro. La prestazione sostanzialmente incolore cui Mertens è stato condannato dall’attenzione di Skriniar e dai raddoppi di D’Ambrosio è un capolavoro. Il fatto che la stessa Inter sia arrivata un paio di volte a far tremare il Napoli senza mai sbracare e allungarsi è un capolavoro. La classifica? Neanche a parlarne. Il capolavoro, di solito, è tale quando è universalmente riconosciuto come capolavoro: l’impressione, però, suggerisce che per quest’Inter la pregiata fattezza dell’opera sin qui compiuta non venga ammessa con facilità. Ciò, però, nulla può togliere al capolavoro e, se non lo si coglie, si può concludere che l’errore e il vizio risiedano nell’occhio di chi guarda.
IN SORDINA - Perso per le strade di Livorno e, poi, Parigi, ubriaco di donne e di vino, Amedeo Modigliani morì da infelice, senza che la sua arte avesse ricevuto un degno apprezzamento. Poi, l’enorme successo, fin dalla clamorosa folla che un po’ ipocritamente accorse al suo funerale. La storia abbonda di travagli simili, con pregiudizi e antipatie che si oppongono al riconoscimento sereno dell’altrui bravura. Se all’artista questa sorte non conviene, perché è difficile gioire da lì sotto, all’Inter può tornare maledettamente utile. La serenità del silenzio e delle scarse aspettative hanno incredibilmente giovato alla preparazione di una stagione: tutto quanto è venuto di bello è adesso sorpresa, non atto dovuto, se non in riferimento ai gloriosi colori nerazzurri. Se si continuerà a procedere così, nello scetticismo generale, con una platea ostile e pronta ad attendere il primo inciampo, il passo rischia di diventare più sicuro, e il piede potrebbe non inciampare mai. Una prova del genere, e un risultato del genere al San Paolo, erano impensabili forse alla vigilia, senz’altro utopia al sole di agosto. Si arrivava da anni di imbarcate o, nel caso del primo segmento del Mancini 2015/16, di produzione offensiva asfittica e deprimente. Questa squadra invece, ne prende pochissimi e ne segna parecchi. La stessa questione estetica che si pone (il gioco, la noia, il pullman, i pali) è negli occhi di chi guarda. La ben giocata partita a scacchi di ieri sera, se la si guarda bene, non è forse bella?
LA SOMMA DEGLI ERRORI - Stiamo assistendo a un crescendo che, presumibilmente, non ci condurrà allo spettacolo a due tocchi di Sarri, ma sta depurando progressivamente questa squadra di tutte quelle imprecisioni che pure sono affiorate in questo primo scorcio di stagione. In qualche occasione, e su tutte spicca il poker Crotone-Bologna-Genoa-Benevento, l’Inter ha fatto (parecchi) punti con affanno eccessivo e qualche strafalcione qua e là che inevitabilmente minacciava il ritorno del triste passato recente. Oggi, e lo diciamo con la voce flebile di chi ancora si stropiccia gli occhi, abbiamo davanti una squadra con un’organizzazione a tratti militaresca, che è riuscita a sfruttare anche risorse inimmaginabili. Nagatomo, ad esempio: una prestazione senza pecche del giapponese a Napoli, a raccontarla un anno fa, sembrava una barzelletta. D’Ambrosio, dal canto suo, è divenuto addirittura fondamentale, solido e concentrato fino in fondo e, a suo modo, trascinatore nel saper difendere e correre a sovrapporsi con diligenza. Gli errori persistono, e lo stesso laterale campano si è a un certo punto dimenticato di Insigne sul finire del primo tempo, e per fortuna il fuoriclasse di Frattamaggiore la testa la usa solo per pensare giocate. Ciò che stupisce, però, è che la somma degli errori si è ridotta drasticamente, e a trovarne mi sembra davvero di fare le pulci. Anche questo, da parte di Spalletti e dei ragazzi che allena, è di per sé un capolavoro.
ALTRO CHE MODI' - È stata forse la serata della consacrazione di Skriniar, oramai una realtà affidabile, che ha retto anche contro gente piccola e pericolosa che, quando sei così alto, ti sguscia pure tra le gambe. Miranda stesso, con meno affanni del solito, ha tirato fuori grinta e quella personalità che ci si aspetta da lui nel giocare di mestiere su Mertens per ben due volte. In mezzo, meglio del solito anche Gagliardini, solido nella prima frazione e poco chiamato in causa nella seconda, ma se il Napoli non è riuscito praticamente mai a concludere dal limite sulle seconde palle, qualche merito il ragazzone di Dalmine ce lo avrà. Vecino, in silenzio, sgroppa come un trattore e Borja, finché gli regge il fiato, è meglio non averlo contro. Candreva prosegue nel suo momento sì, visto che alla solita corsa è tornato ad abbinare la qualità di un tempo, mentre per Perisic e Icardi (sissignori, Icardi!) è stata la serata del sacrificio e della collaborazione, a tutto svantaggio delle gioie personali e con somma gioia del collettivo e del tecnico. Infine, Handanovic, che si esalta a maggior ragione quando gli tirano da due passi a botta sicura. Non è una colpa averlo, se da secoli in Italia si sottolinea che, chi vince, ha spesso un grande portiere. Non è una colpa non giocare a due tocchi, visto che in Serie A, a due tocchi, ci gioca soltanto il Napoli. È un merito, un grosso merito, stare lassù e aver anche dimostrato una crescita tangibile nella prestazione e nell’organizzazione: tanto basti. L’artista Spalletti e tutta l’Inter, siamo sicuri, troveranno presto la giusta gloria, se si continuerà nel progresso. Anche perché, a negare i meriti dei nerazzurri, si rischia di svegliarsi male, col bistrattato brutto anatroccolo che magari, com'è successo ieri, se la gioca alla pari coi cocchi di mamma. Altro che Modigliani, altro che successo postumo. Il momento è adesso, il momento –adesso possiamo ragionevolmente sperarlo– è un maggio altrettanto sereno.