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La scheggia di Big Rom graffia il registro di San Siro. Il Porto fluttua con il gol: cornice in bilico

di Niccolò Anfosso

Che belle le serate di Champions League. Le riunioni elettrizzanti con gli amici fuori da San Siro per vivere al meglio la vigorosa tensione del pre-partita. Dinamico è stato l'inizio di Inter-Porto, visto che i primi 13 secondi hanno visto i portoghesi già in area di rigore nerazzurra, con una palombella terminata tra le braccia di Onana. Aggressività incessante della banda di Conceicao sulla prima costruzione inzaghiana, quasi un modus operandi funzionale all'invito al rilancio profondo in verticale. Lo stadio spinge quando il tacco di Lautaro amplia il raggio d'azione di Darmian per la volèe di Dimarco respinta. Ed è l'esecuzione corta con l'annessa rasoiata di Calhanoglu a scaldare ancora di più l'atmosfera di questa serata di febbraio inoltrato. La lotta in mezzo al campo diventa rilevante nello sviluppo di entrambi gli assetti, ma la scintilla episodica stenta nella prima mezz'ora di contesa. Far ruotare il pallone con tocchi rapidi e convincenti, movimenti complementari ad attaccare la profondità o venire incontro alle traiettorie diventa elemento imprescindibile per scuotere la fisicità dei portoghesi. Lo spazio da poter attaccare è sugli esterni perché le vie centrali sono fortemente intasate e la varietà di possibilità rende complicata una partita già per ontologia particolarmente ardua.

ELETTRICITÀ, OH YES. L'esperienza conoscitiva coincide con le situazioni di campo. È tosto questo Porto, che all'improvviso la mette anche sulla rogna, quando cerca con una rimessa laterale di andare in porta dopo che i nerazzurri avevano buttato fuori la sfera per la verifica tecnologica di un possibile calcio di rigore su fallo di Darmian. La traiettoria al veleno di Dimarco per la girata di testa di Bastoni e quella parata senza senso di Diogo Costa decretano un miraggio ancora inesplorato. Incunearsi nei rispettivi meandri difensivi era l'imperativo univoco, in quella struttura virtuosa motivo d'esperienza meritevole di confronto. L'iraniano Taremi e quel diagonale a tagliare le spalle di Bastoni: tacco e stoccata di Grujic intercettata da Onana (nervoso con Dzeko), poi Galeno deposita fuori a porta sguarnita tra gli sguardi increduli dei propri compagni. Un primo tempo graffiato dalla grinta tambureggiante, basato sul doppio confronto.

CINTURE ALLACCIATE. La strada rimane incompleta nella sua bi-direzionalità. Conceicao la sa lunga, nessun manuale accademico: quando il pallone circola rapidamente sui lati, la pretesa di riuscire a comunicare con Lautaro e Dzeko è l'oggetto del pensiero nerazzurro. Così deve essere, per attivare i pulsanti dell'agonismo. L'anima nerazzurra unifica il postulato di azione e reazione: come quando Barella s'infila con l'inserimento perfetto e una sacra scelta dei tempi per il diagonale in bello stile che rotola pian piano sul fondo, poco distante dal palo. Il pericolo è dietro l'angolo, quando il sempre razionale Taremi preme il pulsante dell'acume tecnico: controllo in corsa ed esterno su cui Onana non si fa sorprendere.

IL GRAFFIO ILLUMINANTE. Strappi di Pepé Aquino e agonismo collettivo: Onana tiene a galla i nerazzurri con un doppio miracolo sulla frecciata di Zaidu e sulla ribattuta di Taremi. Può davvero succedere di tutto, considerando che il registro delle traiettorie proprio non ne vuole sapere di timbrare il primo squillo. È pura pulizia tecnica, quel ciuffo d'erba mancante nella scivolata del Toro su imbeccata di Lukaku, e annessa circolazione complementare connessa ai magistrali piedi di Brozovic. L'espulsione di Otavio è una proiezione all'innalzamento totale del baricentro. E Big Rom coglie l'arcobaleno di Barella nel migliore dei modi, con l'abilità del tap-in dopo il palo centrato dalla girata di testa: marcatura che pesa come un macigno. "L'amore è un faro fisso che sovrasta la tempesta". È proprio vero, con la cornice del ritorno in bilico: sarà lotta ardua a Oporto per il giudizio sui quarti di finale.


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