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La vittoria di Mario. E il "punto virtuale"

di Christian Liotta

Riflessioni, pensieri e parole del dopo Juventus-Inter: sicuramente chi auspicava uno spettacolo in stile Chelsea-Liverpool è rimasto deluso, ma francamente era molto difficile ciò accadesse. Gara che di esaltante ha offerto ben poco, soprattutto nel primo tempo, mentre la ripresa ha avuto un pizzico di pepe in più, comunque insufficiente a condire a dovere il piatto. Gara dove comunque si è avuta la prova provata dell’effettiva superiorità dell’Inter, che ha legittimato in pieno il suo dominio in campionato. La formazione di Mourinho ha svolto egregiamente il suo compito, strappando un pari che però fino al 91’ era una vittoria e insieme la sentenza praticamente definitiva per la Serie A 2008-2009, fino alla zuccata vincente di Grygera, dimenticato dalla difesa nerazzurra, che ha consentito alla Juve di acciuffare un punto in extremis, dimostrando ancora una volta di saper andare oltre i propri limiti tecnici, palesati a lungo anche ieri sera, con l’enorme quantità di orgoglio di cui i giocatori dispongono. Oltretutto, in inferiorità numerica per il rosso diretto a Tiago, reo di un fallo duro su Balotelli.

Un po’ di magone per come è maturato il risultato probabilmente resta, ma il pari fa felice lo stesso i tifosi, visto che la distanza di dieci punti è rimasta tale e con una partita in meno da giocare sparge sempre più profumo di quarto titolo nell’atmosfera, e soprattutto Mourinho, che a fine gara si da un cinque alto con Oriali e sintetizza la sua soddisfazione quando dichiara che la sua gioia massima è stata vedere il pubblico juventino esultare per un pareggio che vuol dire restare distanti dieci punti dalla capolista. Ma se vogliamo fare un’analisi più profonda nel match, scopriamo che dentro questo pari si celano anche due vittorie: una personale e un’altra, definiamola così, “statistica”. La vittoria personale, è chiaro, è quella di Mario Balotelli, l’autore del gol del vantaggio nerazzurro.

Vittoria personale, la sua, in quanto, lo sappiamo bene, il giovane attaccante è stato costretto a giocare sotto un autentico diluvio: non di acqua, ma dei soliti, inqualificabili, cori razzisti “dedicatigli” dalla tifoseria juventina, ormai diventati una spregevole abitudine quando in campo c’è SuperMario. Oltretutto, sono tutti solo ed esclusivamente per lui, visto che Muntari, altro nerazzurro di colore, disputa invece un incontro relativamente tranquillo. Pensare però che tanto livore, che va a sfociare addirittura negli insulti di stampo razzista, sia interpretabile solo come un modo per “criticare” l’atteggiamento in campo talvolta sopra le righe del ragazzo, francamente no, non è possibile farlo anche mettendoci tutta la buona volontà. Piuttosto, sforziamoci di pensare che tutto ciò non avvenga per un altro motivo, e cioè che ancora persista il pensiero, codino e raccapricciante, che un giocatore di colore non possa essere definito italiano e di più non possa giocare in Nazionale, sulla falsariga di quando talvolta, negli anni scorsi, nei palasport italiani, durante le partite di basket si alzava il coro “non ci sono negri italiani” per denigrare Carlton Myers, trascinatore della Nazionale di pallacanestro nel successo europeo del ’99 e portabandiera azzurro alle Olimpiadi di Sydney.

La risposta migliore, comunque, il nostro SuperMario l’ha data dove era più logico che ciò avvenisse: in campo. Prima provocando un brivido alla difesa bianconera con una conclusione che solo una smorzata di Buffon rallenta consentendo a Tiago di spazzare la palla a pochi centimetri dalla porta; poi, nella ripresa, gelando l’intero Olimpico finalizzando il contropiede da manuale partito da Ibrahimovic e proseguito per l’assist di Muntari. E mentre sullo stadio torinese cala il silenzio, ecco Mario esplodere in tutta la sua gioia, andando sotto il settore dei tifosi nerazzurri in festa e arrampicandosi sulla balaustra per ricevere l’abbraccio dei supporters, come una rock star che nel pieno di un concerto si tuffa tra la folla sotto il palco per farsi trascinare dall’onda. E poi, il suo urlo con lo scudetto in mano, “Lo voglio!”, a sottolineare tutta la sua grinta e la sua totale dedizione alla causa interista. E poi, tanta corsa, tante giocate sostanziose, anche qualche gemma come quel giochetto che fa saltare la mosca al naso a Tiago, il quale non trova di meglio da fare che mandarlo giù per terra rimediando il rosso da Farina. Certo, talvolta cade in tentazione e si lascia andare ai soliti episodi comportamentali non da educanda che tanto lo rendono inviso agli avversari (Legrottaglie lo rimprovererà apertamente, anche se poi gli prevede un futuro da campione), arrivando a sfiorare anche l’espulsione. Bravo qui Mourinho a capire l’antifona e a toglierlo dalla contesa, facendo sì che per lui, alla fine, ci siano solo applausi. Balotelli cuce lo scudetto numero 17 sulle maglie dell’Inter, poi Grygera lo costringe a rimettere in magazzino un pezzo di stoffa, ma è comunque l’eroe della serata nerazzurra. E lo diventa ancora di più quando liquida l’atteggiamento riservatogli dalla tifoseria bianconera con queste parole: “Sono più italiano io di tutti loro messi insieme”. Chapeau!

L’altro aspetto positivo della serata è legato al risultato, che non solo conferma i 10 punti di differenza tra Inter e Juve a 540 minuti dalla fine del campionato, ma soprattutto permette all’Inter di conservare il vantaggio del doppio confronto coi bianconeri. Un “punto virtuale” da non trascurare, perché è quello che farà la differenza in caso di parità di punti in classifica a fine torneo. Ipotesi che però, realisticamente, adesso solo la matematica consente di prendere in considerazione: usando come termine di paragone la Milano-Sanremo, l’Inter ieri ha scollinato in scioltezza sul Poggio, e ora deve affrontare l’ultima discesa prima dei chilometri finali. Qualche curva insidiosa ancora c’è, vedi la trasferta di Napoli, la gara con la Lazio e anche la sfida del “Sant’Elia” col Cagliari, qualora la squadra di Allegri arrivasse a giocarsi lì le proprie speranze di Europa League; ma all’Inter basterà gestire questo importante vantaggio con giudizio, evitando qualche pericoloso calo di tensione, e a quel punto dovrà aspettare poco prima di poter alzare nuovamente le braccia al cielo al traguardo tricolore.
 


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