Marotta: "Un big all'anno va ceduto. Delusione Skriniar, Lukaku è il passato. E su Taremi a gennaio..."
Fonte: Gazzetta dello Sport
Tanta storia personale, ma anche attualità, soprattutto quella riguardante gli addii dolenti di Skriniar e Lukaku. Beppe Marotta parla alla Gazzetta dello Sport e lo fa senza peli sulla lingua.
Ce l’ha un favorito, questo campionato? Teme più il Milan o la Juventus?
«Ho vinto il mio primo scudetto a Torino con Antonio Conte senza impegni europei. L’esperienza mi dice che poter pianificare la stagione solo con campionato e la Coppa Italia è un vantaggio. Ecco perché dico che la Juventus è la favorita per lo scudetto».
Eppure, voi dirigenti e gli stessi calciatori vi siete sbilanciati molto sulla seconda stella. Perché?
«Dico no all’eccesso di prudenza e di umiltà. Se sei all’Inter, devi essere ambizioso, l’asticella deve essere alta. Noi ci dobbiamo credere. Diverso è dire “siamo i migliori”: quella sarebbe arroganza».
Giriamo la domanda: perché dovrebbe vincerlo l’Inter, questo scudetto? Ci dia un motivo.
«Perché ci sentiamo forti e abbiamo una grande considerazione di noi stessi, frutto dei risultati in Europa della scorsa stagione. E sappiamo quanto i tifosi tengano a questo scudetto, che coincide con la seconda stella».
Torino, Salisburgo e Roma: l’Inter è pronta?
«Deve esserlo. Con Piero Ausilio abbiamo allestito una rosa in grado di rispondere a queste sollecitazioni».
Anche in attacco vede un'Inter completa?
«Se guardiamo i numeri, il reparto ha funzionato alla grande: non c’è stata neppure una partita in cui siamo rimasti a secco. Piuttosto, abbiamo incassato gol evitabili. E lo scudetto si vince con la migliore difesa».
Perché Lautaro allungherà il contratto?
«È giusto che la società faccia attenzione alle situazioni dei propri giocatori: da una parte si tutela l’asset, dall’altra si rafforza il senso di appartenenza. Lautaro non è come Skriniar: se manifesta la volontà di allungare, che corrisponde anche alla nostra, vuol dire che siamo sulla strada giusta e il matrimonio può continuare a lungo. Avere calciatori fidelizzati è un valore aggiunto: se manca il senso di appartenenza, un giocatore non capisce neppure cosa vuol dire giocare o vincere un derby. Il massimo, per una società, è avere un calciatore che rinuncia ad andare in squadre più importanti pur di rimanere legato al suo club».
Lukaku è un rimpianto, una delusione o solo un avversario?
«È il passato, Lukaku è il passato. Non c’è una componente societaria che ancora pensi a lui. Nessuno, dico nessuno. Poi, da uomo di calcio, sono dinamiche che devi mettere in preventivo, non è mica la prima volta che mi capita...».
Se le dico Inzaghi?
«Il suo bilancio è molto positivo, la società è molto contenta di lui. È arrivato all’Inter con una sola esperienza alle spalle da tecnico, nella Lazio. È giovane, rispetto alla media degli allenatori del nostro campionato, dunque può consolidarsi. È diverso dagli altri tecnici che ho avuto in passato, come è giusto che sia: lui è per un calcio aperto, spettacolare, che fa divertire. Poi siamo l’Inter: lo spettacolo deve coniugarsi con le vittorie, altrimenti giocare bene non serve a nulla».
A gennaio farete mercato? Si parla di Taremi come obiettivo.
«Non credo. Però siamo l’Inter e siamo sempre attenti a ogni situazione. E ci tengo a dire una cosa: prima i giocatori erano restii ad accettare l’Inter, adesso in tanti vogliono venire, la scorsa estate abbiamo dovuto dire parecchi no. Thuram, Sommer e Pavard ci hanno scelto, vuol dire che l’Inter è considerata credibile».
Quanto è stato difficile chiudere lo scorso mercato in perfetto equilibrio tra entrate e uscite?
«L’Inter è oggi un modello di sostenibilità. È inammissibile che una proprietà debba continuamente immettere soldi, la famiglia Zhang lo ha fatto per circa 900 milioni di euro. Noi come management abbiamo un vantaggio, la possibilità di lavorare con tranquillità: questo a Zhang va riconosciuto. Ma non c’è un club che oggi possa fare a meno del player trading. Un giocatore di peso all’anno va venduto, questo il tifoso deve capirlo. E più che di perdere un calciatore, deve preoccuparsi che la propria squadra abbia vita perenne, garantendosi il presente e il futuro».