Nuova Mission impossible: estrarre entusiasmo dall'orgoglio ferito
L’avevano definita subito “Mission: Impossible”, scomodando un must del cinema americano. Ma se quella vista a Gelsenkirchen fosse stata una sceneggiatura, Tom Cruise sarebbe stato catturato senza riuscire a trovare alcuna via d’uscita. Invece si tratta di realtà e l’Inter, così come i tifosi nerazzurri, devono accettarla anche se a malincuore. L’eliminazione a dir poco sorprendente non avviene alla Veltins Arena, bensì a San Siro. Con le uova ormai fracassate al suolo era improbabile riuscire a cucinare una frittata. La sconfitta del return match vale solo per le statistiche e per evidenziare, se ce ne fosse bisogno, la fragilità difensiva di una squadra che ha perso nettamente il confronto contro un avversario tecnicamente inferiore e dal pedigree non certo nobile. Bazzecole quando capisci al volo i limiti del più blasonato avversario e gli passeggi sopra davanti al suo pubblico.
TANTE DOMANDE, POCHE RISPOSTE - La fine della corsa fa male, e con il miracolo rimasto incompiuto (e mai, a dir la verità, avvicinato) lascia solo tanto amaro in bocca oltre a invitare alla riflessione. Dove ha sbagliato l’Inter? Perché oggi non le resta che leccarsi le ferite dopo aver esultato in seguito al sorteggio di Nyon? Com’è possibile trovarsi fuori dalla competizione conquistata 11 mesi fa al cospetto della cenerentola tra le magnifiche otto? Tante domande, poche risposte, almeno per il momento. Anche perché non c’è tempo per fare troppe riflessioni, il campionato incombe e anche in questo caso c’è da raddrizzare una situazione compromessa. Non siamo ai livelli di un miracolo, ma parlare di impresa appare logico. L’attualità però è ancora di respiro europeo ed è impossibile smettere di pensarci e voltare subito pagina.
NUMERI IMPIETOSI - Dal momento che non ha senso analizzare la trasferta di Gelsenkirchen, è più giusto impacchettare il doppio confronto ed estrapolare gli errori dell’Inter. Innanzitutto, subire 7 reti dallo Schalke è inammissibile per una squadra che ambisce alla vittoria del trofeo che detiene. I tedeschi non sono certo una macchina da gol, il nono posto in Bundesliga è una cartina tornasole in tal senso. Inoltre, con il titolare Huntelaar fuori aveva certamente meno frecce al proprio arco da puntare contro il bersaglio nerazzurro. Poche frecce, ma appuntite come non mai: l’esperienza di Raul e la prestanza fisica di Edu sono state sufficienti per demolire la retroguardia dell’Inter tra andata e ritorno. Merito dei due attaccanti e di chi li ha supportati, ma sono palesi i demeriti della difesa avversaria, poco protetta dal centrocampo (è successo anche a Gelsenkirchen, quindi siamo al livello di recidività). Anche nella partita di ritorno sorprende la scelta di Leonardo di rinunciare a Cambiasso preferendogli ancora Thiago Motta davanti alla difesa. Mossa che ha privato l’attacco di dinamismo e la difesa di copertura, e poco importa se l’italo-brasiliano sia l’autore del momentaneo 1-1.
ANCHE L'ATTACCO HA LE SUE COLPE - Se difesa e centrocampo si sono fatti prendere d’infilata con un’ingenuità inammissibile, anche l’attacco, soprattutto a Gelsenkirchen, ha le sue responsabilità. Certo, se il centrocampo non costruisce come dovrebbe è dura ricevere palloni per i giocatori offensivi, ma il poco movimento e l’eccesso di egoismo hanno acuito i limiti nerazzurri nella metà campo dello Schalke. A San Siro, in altre parole, paradossalmente si è visto un gioco d’attacco migliore. A questo si aggiunge un atteggiamento troppo compassato, quasi che il risultato fosse ben accetto dalla squadra di Leonardo. L’obbligo di segnare 4 gol avrebbe dovuto invitare i giocatori dell’Inter ad aggredire senza mezzi termini la difesa avversaria, cosa avvenuta assai di rado. Non è un caso se le occasioni da rete alla fine siano state solo due, centro di Motta compreso. Pochissimo per chi, almeno alla vigilia, si sentiva all’altezza di questa favolosa impresa. Ci sarebbero tanti altri punti da sviluppare per capire come mai i nerazzurri oggi sono fuori dalla Champions: atteggiamento, fragilità psicologica, tenuta atletica e impostazione tattica sono argomenti che meriterebbero approfondimenti tra le quattro mura dello spogliatoio di Appiano Gentile.
FIDUCIA NELL’ORGOGLIO FERITO - E adesso? Non resta che continuare a vincere in campionato sperando che là davanti qualcuno rallenti, anche se con sole sei giornate da giocare le speranze sono flebili. C’è anche la Tim Cup, e l’Inter ha le medesime chance delle altre semifinaliste. Pertanto è consigliabile mettersi alle spalle al più presto questa dolorosa uscita di scena dalla Champions League e concentrare le residue energie entro i confini nazionali. Facile a dirsi, meno a farsi, ma l’orgoglio ferito è un integratore straordinario quando incanalato nel modo giusto. Quello che conta, infatti, non è cadere, ma sapersi rialzare.
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