Oriali: "Mancini bravo, Mourinho è pure furbo. E fate lavorare Strama"
Fonte: Gazzetta dello Sport
Domani saranno 60. Sessant'anni per Lele Oriali, oggi opinionista Mediaset e da molti tifosi nerazzurri rimpianto dirigente. Oriali affiancava Marco Branca anche nell'anno del Triplete, poi la rottura. Oggi ha parlato alla Gazzetta dello Sport, ripercorrendo gran parte della sua carriera.
«Da ragazzo insaponavo i clienti facendo il garzone in un negozio di barbiere - racconta -, per guadagnare qualche lira. Giocavo nel Cusano Milanino, io terzino destro, Maldera terzino sinistro, povero Aldo, quando un giorno il mitico "sciur" Crippa venne a casa a dire che mi voleva l'Inter. Ero juventino, mio papà mi aveva portato a Varese a vedere la Juve di Castano e Salvadore, il mio idolo era Menichelli, un'ala sinistra. Ma per 100mila lire a 13 anni passai all'Inter e da quel momento interista a vita»
Nel 1970, con Invernizzi in panchina, arriva la prima convocazione. «Eravamo a Roma, vigilia contro la Lazio, mi mettono in camera con Burgnich. A cena non dico una parola, per rispetto nei confronti degli anziani che oggi non c'è più. Salgo alle 8 e mezzo, mi infilo a letto e spengo la luce, emozionatissimo. Quando entra Burgnich mi dice: "Dormi già?". Gli spiego che non volevo disturbarlo e allora mi mette a mio agio, chiedendomi della mia famiglia. Lui e Facchetti mi hanno aiutato più di tutti».
E così arrivò anche il debutto contro la Roma. «Bordon e Beccalossi sono stati i miei amici più cari. Peccato per il Becca, quello che ha avuto meno successo per le sue qualità. Il più forte, però, è stato Maradona. Ricordo un'amichevole con la Nazionale, quando aveva 18 anni. Bearzot mi disse di controllarlo, ma io l'ho soltanto visto». Nel 1980 gli scudetti diventano due. «Devo molto a Bersellini, al presidente Fraizzoli e a sua moglie Renata. Mazzola, invece, mi cedette all'Ascoli in cambio di Pasinato, senza nemmeno avvisarmi. Dissi che piuttosto avrei smesso di giocare, saltò tutto e fui felice di essere rimasto, prima di tornare in buoni rapporti con Mazzola».
Titolare anche in Nazionale, a Spagna ’82: «Bearzot si rivelò un grande stratega, facendoci vincere un mondiale storico, anche se dopo la finale non ci volevo ancora credere. Ero in camera con Zoff e Scirea e ogni tanto ci dicevamo "Ma siamo sicuri di avere vinto?". E allora telefonavamo a casa per sentire il rumore dei clacson».
La carriera da dirigente comincia subito con un grandissimo nome: Roberto Baggio. «Devo ringraziare il presidente della Solbiatese, Caravatti. Mi propose di fare il d.g. e passammo dai Dilettanti alla C2. L'anno dopo, fui chiamato a Bologna da Gazzoni. Dalla C salimmo in fretta in A e io portai Baggio». Poi a Parma, dove vince Coppa Italia e Coppa Uefa nel 1999. E a quel punto Moratti lo chiama all'Inter. «Un ritorno nella mia seconda famiglia, anche se l'Inter non mi ha mai fatto dormire. Mi agito ancora adesso, non come quando giocavo, ma quasi. Ho lavorato con Mancini, bravo e fortunato, con Mourinho, abile e furbo, 11 anni culminati con la Champions a Madrid. Tornammo per incontrare i tifosi e alle cinque del mattino nel garage dello stadio trovai Ligabue con suo figlio che mi aspettava». Ma da quella notte non è più andato a San Siro. «Questione di carattere. Il calcio, però, rimane lamia vita e se arrivasse una proposta interessante la prenderei in considerazione». Nell'attesa elogia De Rossi, la Juve e Stramaccioni. «De Rossi è quello che mi assomiglia di più, anche se io non sono mai stato espulso. La Juve merita il primo posto, l'Inter può arrivare tra le prime tre. Stramaccioni è bravo a tenere unito il gruppo, ma va lasciato tranquillo».