.

Pigrizia o panico, l'Inter sa bene che non può più permettersi i suoi difetti

di Antonello Mastronardi

Se così non fosse, non saremmo qui a farci divorare dall’ansia, con un occhio sempre attento al risultato di Lazio e Roma. Saremmo in panciolle, in una terra di mezzo tra le due prime della classe e le romane, a quel punto impegnate in un affascinante mors tua vita mea a bordo Tevere per accedere alla Champions. No, ci siamo dentro fino al collo, persino un passettino indietro rispetto alle due capitoline, e la ragione va ricercata proprio in quell’andamento a fasi alterne che macroscopicamente si estende alle stagioni interiste, ma che è assai evidente anche se racchiuso negli angusti limiti dei 90’. Ieri a Verona,l’Inter ha vissuto una grande mezz’ora, quando la visita rituale agli spogliatoi nell’intervallo ha evidentemente risvegliato i nerazzurri dall’iniziale torpore. Nel finale, poi, un nuovo calo, nuove ansie e nuovi, incredibili pericoli, e stavolta non c’era richiamo alla sfortuna che potesse giustificare un eventuale pari in extremis. Masochismo, semmai, o meglio un inspiegabile atteggiamento proprio di chi gigioneggia.

SERRANDA ABBASSATA - Talvolta, questa squadra sembra simile nell’indole a quei negozianti ormai impigriti e disillusi che son soliti aprire bottega soltanto due ore al giorno, magari nelle ore più fresche, giusto il tempo necessario per tirare a campare con serenità. Per carità, di solito arrivano anche a fine mese, ma il vento degli affari – si sa – è assai mutevole: se qualcosa va male, il malcapitato finirà per accorgersi che una più costante presenza in negozio gli avrebbe evitato di dover mangiare pane e acqua fino a nuovi, imprevisti successi.  Nel caso dei nerazzurri, magari, non si tratta di pigrizia, ché adesso sarebbe oltretutto stupido. I punti pesano come non mai, le gare son pochissime e non c’è spazio per la stanchezza; per molti, poi, si avvicinano i Mondiali, e si è già visto come questa prospettiva abbia ringalluzzito anche Brozovic e Perisic, due che il negozio lo aprono solo per trovare riparo quando fuori piove. Le recriminazioni a se stessa e all’indubbia indolenza e confusione che la contraddistingue l’Inter deve farle per l’intero cammino stagionale, nonostante chi scrive debba riconoscere che, in questo senso, i nerazzurri hanno fatto un grosso progresso rispetto alle scorse stagioni, quando non erano sostanzialmente mai riusciti a riprendersi dal letargo. Se però anche quest’anno il sogno Champions fosse scemato anzitempo, sarebbe andata in modo assai simile con estrema probabilità. Che aggiungere, dunque?

UN PASTICCIO A METÀ - Ieri, però, dicevamo che la pigrizia non può aver influito. Piuttosto, si tratta di panico, desiderio di fare e dare il meglio possibile senza che però questa volontà sia sottoposta a ordine. Anzi, il desiderio è così confuso che ci si esprime poco e male proprio quando si vorrebbe dare il massimo. La buon, ottima qualità tecnica di molti interpreti, che è enormemente cresciuta con l’entrata in pianta stabile negli 11 di Brozovic, Cancelo e Rafinha, ha fatto sì che in quella mezz’ora l’Inter sia riuscita a far sua la gara, snocciolando anche un’azione da grande squadra in occasione del secondo gol, buona per deliziare il palato e accrescere i rimpianti di chi questi ragazzi vorrebbe vederli sempre così. L’atteggiamento del primo tempo, l’imprecisione dei movimenti offensivi di Icardi, l’appannamento di Cancelo, la difficoltà di ritmo di Borja Valero, la sofferenza di fronte alla normale e prevedibile aggressività di chi vuole lottare in Serie A e lotta col coltello tra i denti: tutto ciò ha risvegliato i vecchi fantasmi e, nei più pessimisti, ha fatto sì che il quarto posto fosse una chimera già al 45’.

UN QUASI PASTICCIO - Nel finale, poi, anche Spalletti ci ha forse messo del suo, abbassando la squadra troppo precocemente col cambio Santon-Karamoh e, di fatto, chiamando fuori un Chievo che non aspettava altro che la possibilità di tornarsela a giocare. Sta di fatto che quel calo non è accettabile né spiegabile, soprattutto alla luce del fatto che i calciatori dell’Inter adesso son realmente affamati di Champions. Non è più il tempo della lotta per l’Europa League, quando magari la prospettiva delle trasferte al giovedì in remote regioni della Grande Madre Russia faceva tirare indietro la gamba a più d’uno: non si può certo parlare, dunque, di scarsa volontà. Piuttosto, la volontà di questi ragazzi non è allenata, e non sa fare i conti col fatto che anche gli avversari possano vender cara la pelle: se la piccola di turno inizia a giocare come vuole, chiudendo ogni traccia per la propria porta e ripartendo con pericolosità, l’Inter va in panico.

OTTIMISMO? - Ormai è tardi per guarire in corsa, chiaramente, e bisogna provare a portare in porto la barca così com’è: con la Juve, siamo certi, quello della volontà sarà l’ultimo dei problemi, come d’altra parte l’Inter ha dimostrato in ognuno dei big match disputati in stagione. La rabbia e l'ansia dei bianconeri, che forse saranno obbligati alla vittoria persino più dell'Inter, basta e avanza per rendere incandescente la gara di San Siro. In caso di buon risultato sabato, anche le successive gare con Udinese e Sassuolo saranno fin troppo calde ai fini della classifica perché l’Inter possa soffrire di grossi cali di concentrazione. Si può essere ottimisti, dunque, al netto del fatto che le romane continuano a vincere, e che tutto sembra andare nella direzione di un’Inter che dovrà giocare per un solo risultato nello spareggio fratricida dell’Olimpico. Non è poi così male come prospettiva, dal momento che questa squadra crea lo psicodramma quando ha vita facile, e invece pare più a suo agio quando l’aria si fa rarefatta. Il guaio, però, è che queste palpitazioni si potevano evitare, e che lo stesso atteggiamento che le ha causate sia tornato ieri col Chievo, seppur senza far danni. Su questo dato, più d’ogni altro, l’estate dovrà portare consiglio.

VIDEO - LA GIOIA DIFFERITA, LA GRANDE AZIONE, LA SOFFERENZA E... I GUFI: CHIEVO-INTER VISTA DA TRAMONTANA


Altre notizie