Restare in E. League? Non a dispetto dei Saints. Ma il nuovo ko non nasce ieri
Estrapolare quanto si è visto ieri dal tormentato contesto in cui l’Inter ha affrontato la trasferta in terra d’Albione diventa impresa non proprio facile: francamente, sono state troppe le variabili impazzite che hanno accompagnato la truppa interista, al punto che anche lo stesso tecnico del Southampton Claude Puel aveva candidamente ammesso che sarebbe stata una gara complicata perché di difficile interpretazione. E allora, tanto vale cominciare dalla fine, dal risultato: al St. Mary’s Stadium, di fronte a 32mila chiassosissimi tifosi, il Southampton vendica la sconfitta dell’andata a San Siro superando per 2-1 la squadra di Stefano Vecchi, pregiudicandone in maniera quasi definitiva le speranze europee. A meno di veri e propri miracoli sportivi, l’Inter, accreditata alla vigilia come una delle favorite d’obbligo della competizione, è destinata a salutare la compagnia prima del tempo, ulteriore tassello di un mosaico da esporre nella ‘galleria degli orrori’ della storia nera del club, probabilmente nel salone principale.
I GIORNI DELL’ABBANDONO – Senza ombra di dubbio, questa sconfitta, l’ennesima di questo calvario che sta vivendo l’Inter, nasce da lontano. Nasce dalla scelleratezza condensata negli ultimi quattro giorni, quelli successivi al ko di Marassi contro la Sampdoria. I giorni dove sono venuti clamorosamente a nudo, spogliati anche delle foglie di fico, tutti i limiti e le incongruenze di una gestione societaria davvero dissennata. Non bastasse l’incredibile triplo salto carpiato all’indietro compiuto al momento di decidere l’allontanamento di Frank de Boer, difeso a spada tratta, ma a questo punto, è eloquente, più per questioni dettate dal contesto che per altro, nel corso della conferenza stampa successiva all’assemblea dei soci, l’idra (perché ahinoi, di questo si tratta) che governa i destini di questa squadra ha dato ampio sfoggio di una disarmante incapacità di affrontare le emergenze più 'ordinarie' come quella di un cambio tecnico, presa com’è a sfogliare una margherita di dimensioni gigantesche composta da decine di petali sfogliate da più e più mani. E mentre il tecnico di Hoorn è stato messo all’uscio senza riuscire a rispondere fino in fondo agli interrogativi che ne avevano accompagnato il suo arrivo e la scelta del nuovo allenatore, uno disponibile in pochi mesi a ricostruire un minimo di fondamenta in queste macerie, si procrastina in modo sempre più irritante, la squadra si ritrova catapultata in un limbo di incertezze e di inquietudine, senza una testa pensante e comandante e ora nelle mani di un uomo destinato a vestire la figura di traghettatore del traghettatore. Tutto così meravigliosamente grottesco…
LA DEA SBANDATA – Cosa si può rimproverare, francamente, in una serata così, a Stefano Vecchi? Piombato da un giorno all’altro dalla Primavera alla prima squadra, il tecnico bergamasco ha recitato la propria parte con grandissimo senso del dovere e dell’onestà. Riconoscendo che fare le cose per bene era difficile se non impossibile e allora si è appellato alle cose semplici, a quei 4-5 semplici concetti di base che possono anche fare le fortune di una partita se bene applicati. E almeno per un tempo, l’Inter ha fatto sostanzialmente bene il compito; certo, non sono mancate le imprecisioni in fase di costruzione, ma nel complesso la squadra è sembrata ordinata, pronta a ripartire, intelligente. Il gol del vantaggio firmato dal solito Mauro Icardi non sembra un premio immeritato come la parata di Samir Handanovic sul rigore generosamente concesso (ne parleremo più giù) dall’arbitro Pawel Gil ha il sapore dell’atto di giustizia. Nella ripresa, però, la situazione cambia: l’Inter torna nella tenaglia delle proprie incertezze e dei propri limiti, ma se oltre alla pressione avversaria e agli errori a volte marchiani fatti dagli uomini con la maglia soft drink, anche la malasorte ci mette il suo zampino regalando a Virgil Van Dijk un pallone comodo da appoggiare in porta su una palla mal calcolata di Oriol Romeu finita sulla traversa e porta Yuto Nagatomo a compiere un goffo intervento a infilare il proprio portiere (ma l’errore del nipponico non è che la sublimazione di una fase che più che difensiva sembra una fase R.e.m.), allora forse poco si può fare per invertire la rotta di un cammino forse già segnato ancora prima di sbarcare Oltremanica.
LISCIO E MAZURKA – L’ovvia, banale metafora del Titanic, che dal porto di Southampton salpò prima di andare incontro al suo tragico destino, non è francamente applicabile alla squadra nerazzurra, in questo momento più una zattera che vede aprirsi falle a destra e a manca senza che non si capisca ancora chi deve prendersi la briga di mettere i turaccioli. Casomai, a naufragare davvero in questa serata è l’arbitro Pawel Gil da Lublino, protagonista di una serata alquanto scellerata. L’apice arriva nel recupero del primo tempo, quando, forse scompigliato dall’urlo delle tribune, trasforma un innocuo e involontario colpo di gomito di Ivan Perisic in un penalty da strabuzzare gli occhi e poi grazia Antonio Candreva che va a colpire senza un motivo McQueen in volto. Poi nella ripresa fioritura di errorini qui e là che rendono ulteriormente negativa la sua prova. Dalla terra della mazurka, un arbitro da vai col liscio!
IL RISCHIATUTTO – E ora, cosa fare? Mentre Suning si prodiga nel contattare uno piuttosto che l’altro, e Stefano Pioli pare avere i carboni ardenti sotto la sedia da quanto è alta la fibrillazione per l’attesa, come ritrovare la serenità auspicata e presentarsi in maniera adeguata al cospetto di un Crotone che arriva a San Siro galvanizzato dalla prima, storica vittoria in Serie A? Come scongiurare il pericolo di un risultato ‘spacca-tredici’ come quello del celeberrimo Juventus-Catania nel film di Lino Banfi ‘Al Bar dello Sport’ nemmeno troppo remoto? Ormai, nell’ambiente Inter, tutto sembra un rebus senza fine. Un rebus al quale rischierebbe di dover trovare la soluzione proprio Vecchi, che stando alle parole di Piero Ausilio nel pre-partita, potrebbe vedere anche stabilizzarsi la sua posizione da allenatore della prima squadra. Al di là dei precedenti ‘verbali’ e della stima per il professionista, siamo sicuri che per lui sarebbe nel caso un rischio giusto da correre?