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Stankovic: "Mancini mi chiamò per fare la storia. Il mio ritorno e Sinisa..."

di Daniele Alfieri

Dai trionfi in nerazzurro alla sua nuova avventura dirigenziale, passando per il rapporto speciale con l'amico-nemico Mihajlovic e il ruolo fondamentale svolto dalla famiglia nel suo processo di crescita. Dejan Stankovic si confessa ai microfoni di BN Televizija. In tutto questo l'attuale team manager dell'Inter quanto è cambiato? "Sono sempre Deki, lo stesso di quindici anni fa. Ho cambiato solo ciò che doveva essere cambiato in positivo. Ripeto sempre che è grazie alla mia famiglia se sono rimasto sempre lo stesso, perché mi sono sposato presto e sono subito divenuto padre. La mia carriera e le mie vittorie sono andate avanti insieme a loro. Sono felice che i miei figli mi abbiano visto e che possano ricordarmi in campo".

STESSI GENI DEL PADRE - "Il medio, Philip (13), è portiere nei giovanissimi dell'Inter. Ovviamente non sono stato io a spingerlo. Onestamente non so a che livello può arrivare. Il più grande, Stefan (15), gioca nell'Accademia dell'Inter, e poi c'è Aleksandar (10). A poco a poco Stefan sta entrando in competizione. Quest'anno i classe 2000 sono i più talentuosi dalla generazione di Balotelli. Sarà dura per lui, ma gli ho detto che è giusto che si misuri con i migliori".

DALL'INTER ALLA SERBIA - "Mi hanno sempre chiesto tutti perché giocassi bene nell'Inter e poi in Nazionale non tanto. Mi sono sempre sacrificato per il successo della squadra. Anche quando dopo una vittoria ero felice della mia prestazione leggevo delle critiche eccessive. Ma ho sempre accettato la chiamata della Nazionale, perché è il più grande onore per ogni atleta".

MIHAJLOVIC AL MILAN E IL FIGLIO RACCATTAPALLE... ALLA LAZIO - "Sono stato io a battezzare Dusan. Per me è stato un onore. Anche mio figlio Philip faceva da raccattapalle quando io sedevo in panchina all'Udinese. È stato fantastico. E ora che mi ricordo, anch'io ho fatto da raccattapalle quando Miha giocava nella Stella Rossa!".

SINISA AMICO E NEMICO - "Il calcio è una cosa e la vita privata un'altra. Gli voglio bene, ha fatto tanto per me. Sarà sempre parte della famiglia, più di un amico, più di un padrino. Tre anni fa, prima di una partita contro la Croazia, gli dissi che avrebbe allenato una grande squadra. Era scritto e così è stato. Per lui la pressione non è un problema, perché ha le palle. Maggiore è la pressione, meglio lui sa reagire. Ha ottenuto tre vittorie quando aveva su di sé la massima pressione. Siamo nemici per 180 minuti durante l'anno, per il resto siamo amici. E lo saremo per sempre". 

DAL CAMPO ALLA PANCHINA - "Fino ad oggi sono molto soddisfatto di come si sta sviluppando la mia carriera da quando ho smesso di giocare a calcio. Ho lavorato a Udine con Stramaccioni, ora a 37 anni ho avuto la possibilità di tornare all'Inter con un ruolo nel team manageriale. Provo a fare del mio meglio, sperando di soddisfare le aspettative e di avere maggiori responsabilità. Sono cresciuto così, concentrandomi sul lavoro e senza aver timore delle responsabilità. Ma è importante andare passo dopo passo e non volare molto".

L'INTER, TRA SOGNO E STORIA - "Quando dovevo decidere la squadra in cui giocare dopo la Lazio ho scelto l'Inter. Mancini mi ha consigliato di venire a Milano per fare la storia, mentre se fossi andato alla Juve sarei stato uno dei tanti. All'inizio ci sono stati dei problemi, ma abbiamo creato un ciclo di grandi vittorie durato quattro anni. Il Triplete è stato il coronamento di un sogno: il club rimarrà iscritto con lettere d'oro nella storia del calcio".


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