Touré bollito? I numeri dicono il contrario. E Mancini ne è consapevole
Quarantasette presenze totali di cui 5 partendo dalla panchina, con una media di 75 minuti sul rettangolo di gioco a cui si aggiungono 8 gol e 7 assist. Al di là della qualità delle sue prestazioni,non sempre all’altezza dei suoi periodi migliori, non si può certo sostenere che per Yaya Touré l’ultima stagione al City sia stata ai margini della rosa di Manuel Pellegrini. Il tecnico cileno gli ha dato quasi sempre fiducia e ha dovuto rinunciarvi soprattutto a causa di due infortuni significativi, uno al ginocchio e uno alla coscia. Quest’ultimo gli ha impedito di partecipare al match di andata della semifinale di Champions League contro il Real Madrid e di presentarsi in condizioni accettabili al ‘Bernabeu’ una settimana dopo. Proprio il ritorno di quel confronto è stata la sua prestazione peggiore in assoluto. Lento, impacciato e a tratti svogliato, per circa un’ora ha ciondolato per il rettangolo di gioco senza dare segnali di vitalità. Colpa di una condizione a dir poco deficitaria al rientro dallo stiramento. E, guarda caso, questa performance è avvenuta sotto gli occhi degli appassionati di calcio di tutto il mondo, che hanno bollato l’ivoriano come calciatore finito, al tramonto della carriera e incapace di fare più la differenza. Un concetto che si è allargato a macchia d’olio e non ha tenuto conto delle statistiche stagionali del diretto interessato, passate sotto traccia. Eppure queste non smascherano un calciatore alla fine del suo percorso professionale, nonostante le 33 primavere sulle spalle.
Chiaramente, il Touré di oggi non è più quello di un paio di anni fa che in campo emergeva a vista d’occhio e dominava il centrocampo. Il peso degli anni e qualche infortunio si fanno sentire, soprattutto in una lega come quella inglese che fa dei ritmi altissimi una delle sue prerogative. Ma Roberto Mancini, che continua a sperare nel suo arrivo a un anno dalla beffa, ne è consapevole. Sa che non si troverebbe ad allenare quel centrocampista che giganteggiava in mezzo al campo e che è stato la chiave dei suoi due successi sulla panchina del City (FA Cup e Premier League). Al contempo, sa che in Italia, nonostante il declino, il classe ’83 nativo di Sekoura Bouaké può ancora fare la differenza, in un torneo che vive di ritmi meno elevati e generalmente ha una qualità inferiore rispetto alla Premier League. Uno come lui, magari non disputando tutte le partite e con un’adeguata preparazione fisica estiva, piazzato nella mediana nerazzurra garantirebbe fisicità e soprattutto qualità. Proprio quella, la seconda, che all’Inter è mancata nella stagione da poco conclusasi. A questo si aggiunge il bagaglio di personalità e leadership che da anni viene riconosciuto a Touré e che l’allenatore cerca disperatamente per aiutare i meno esperti a migliorare e non farsi trascinare verso il basso nei momenti più complicati. Non è casuale quindi la risposta di Mancini dopo la recente vittoria sull'Empoli ("Si è trascinato un problema fisico ma non è in calo").
La situazione resta in stand-by, l’agente dell’ivoriano, Dimitri Seluk, prende in seria considerazione l’opzione Inter per il suo assistito, però non si sbilancia prima di aver parlato con la dirigenza del Manchester City. E stavolta, complice anche l’approdo di Pep Guardiola sulla panchina dei Citizens, non dovrebbe esserci l’epilogo dell’estate scorsa, quando lo sceicco Mansour negò il trasferimento al centrocampista. I contatti con Mancini continuano, lo stesso Seluk lo ha ammesso, però prima dell’eventuale semaforo verde bisogna capire quali cifre siano in ballo sia per l’ingaggio (forse lo scoglio principale) sia per acquistarne il cartellino dal City, che difficilmente accetterà di liberarlo a zero. Nei prossimi giorni ci saranno senza dubbio aggiornamenti, perché dopo l’incontro tra entourage e club il quadro sarà più chiaro. E si capirà se davvero Thohir potrà regalare a Mancini quel giocatore che insegue da un anno e che potrebbe rassicurarlo sulle ambizioni dell’Inter per la prossima stagione.