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Tra i fantasmi di passato e presente, i depressi sono dentro l'Inter. E domani arriverà la certificazione

di Fabio Costantino

Nella serata in cui il popolo genoano e idealmente tutta Genova ha omaggiato Fabrizio De Andrè, probabilmente è l'Inter la squadra che avrebbe attratto le maggiori simpatie di Faber. Già per il modo in cui si è presentata a Marassi, priva di tre titolari, poi per l'andamento della partita, che l'ha vista soccombere anche per mano di se stessa, era chiaro che gli sfortunati, i miserabili, i disperati che il poeta tanto amava raccontare nelle sue canzoni ieri sera vestivano un'insolita maglia total white. E magari gli avrebbero dato spunto per una delle sue incancellabili ballate. Perché oggi, più che pazza, questa Inter pare rassegnata al proprio destino, decisamente agli antipodi di quello colmo di entusiasmo e speranza di qualche mese fa.

DEPRESSIONE - Verrebbe voglia di usare la parola 'depressa', non fosse che Luciano Spalletti il giorno prima l'aveva scacciata in maniera energica, come se a esserlo fossero solo i tifosi meno ottimisti. In realtà anche in campo si è visto qualcuno con il morale sotto i tacchi, privo di reazione, quasi anestetizzato. L'emblema della serata è il folle autogol che sblocca uno 0-0 altrimenti inattaccabile, confezionato dai due centrali e da un Handanovic marmoreo, come poco prima su un apparentemente innocuo lancio di Pandev morto sulla traversa sotto gli occhi dello sloveno che chissà quale valutazione gli aveva attribuito. Le assenze pesano, inutile fingere che non sia così. Pesano su una squadra che ha costruito nel tempo una formazione tipo e su questa aveva basato le proprie fortune.

SQUADRA REALE VS. SQUADRA VIRTUALE - Oggi l'allenatore fatica a ricomporre quell'undici, per guai infermieristici o plateali crolli di condizione psico-fisica. E le conseguenze sono questo genere di prestazioni. Per la quinta volta consecutiva l'Inter perde a Marassi contro il Genoa e lo spartito rimane inalterato: ai rossoblu basta davvero poco per avere la meglio di un avversario inerme. Ma se nella scorsa stagione il dubbio che la sconfitta fosse poco dolorosa per i giocatori, allergici a una qualificazione all'Europa League, ieri sera è parso evidente lo smarrimento di un gruppo che, nonostante le iniezioni di freschezza di Yann Karamoh, l'imprevedibilità di Joao Cancelo e un Rafinha part-time in grado di alterare gli equilibri, è come un'imbarcazione vittima delle onde e senza gli strumenti per domarle. Il giorno prima Spalletti aveva sottolineato come lui non alleni la squadra virtuale che legge sui giornali, ma quella reale. Chissà se dopo l'ennesima prestazione inconcludente, forse la peggiore dell'ultimo gelido periodo invernale, non preferirebbe fare cambio. Mai come oggi, infatti, la realtà è amara e da lunedì la probabile vittoria della Lazio contro l'Hellas Verona certificherà l'uscita dai primi quattro posti, inevitabile e anzi tardiva visto l'andazzo. Una mazzata a cui sarà ancora più difficile reagire psicologicamente, pur con il Benevento come prossimo step.

FANTASMI DEL PASSATO E DEL PRESENTE - Domenica scorsa Rodrigo Palacio aveva provato a far male senza riuscirvi, stavolta Goran Pandev ha sentenziato il crollo nerazzurro. Ma più che dai fantasmi del passato, l'Inter deve guardarsi da quelli del presente. L'obiettivo Champions League resta alla portata, almeno sulla carta e adocchiando la classifica. Però la depressione è una brutta bestia da scacciare e pesa più di un infortunio o una squalifica. La forza mentale, il punto di forza di questa squadra sin dall'inizio, è letteralmente uscita di scena riportando a galla le paure del passato e sottolineando l'inadeguatezza della rosa, figlia dell'austerity e di strategie societarie che mirano più al fatturato che al campo. Mai come oggi tali scelte strategiche pesano come un macigno sul prosieguo del campionato.


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