Tre schiaffoni. Che siano educativi. E non si porga l'altra guancia
E alla settima giornata, l’Inter cadde. E la caduta è di quelle che fanno molto male, oltre che rumore: perché, al di là della pesantissima sconfitta patita contro la Roma arrivata al settimo sigillo consecutivo e che adesso rilancia con estrema forza le proprie quotazioni in chiave scudetto, questa volta a Walter Mazzarri, impegnato nella ricostruzione di un palazzo chiamato Inter, ha visto implodere all'improvviso un piano dello stabile. Smantellato dalla macchina schiacciasassi messa a punto da Rudi Garcia, che è arrivata al Meazza per impartire una severa lezione di gioco ai nerazzurri, quello che nemmeno la tanto blasonata Juventus era riuscita a fare. Fa male la sconfitta e fa male per come è maturata, forse in maniera troppo pesante ma legittima, ma ciò ridimensiona solo di poco il buon avvio di stagione dei nerazzurri. Ma il primo vero esame, così come lo aveva definito lo stesso allenatore, è finito con un chiaro esito: “Ripassi e si ripresenti”. Adesso, ovviamente, i nerazzurri devono riordinare le idee e assorbire la botta, arrivata contro una signora squadra.
POCO ASSISTENTE – Piccola premessa ad introdurre il discorso post-gara: i timori per la direzione di gara di Paolo Tagliavento, a voler rivedere bene l’andamento dell’incontro, si sono rivelati in parte fondati. Ma al di là di quelle che possono essere le recriminazioni per qualche giallo in meno o per qualche fallo non sanzionato a dovere, sicuramente c’è un elemento del quintetto arbitrale di oggi che si macchia di errori ben peggiori: è l’assistente Marco Guida, poco assistente visto come giudica dentro l’area il fallo di Alvaro Pereira su Gervinho che in realtà avviene al di là della linea. Poi si prende anche la responsabilità nell’annullare il gol a Ranocchia per una carica nei confronti del portiere De Sanctis non perfetto nella presa. Qui la scelta appare più legittima, ma non basta per l'assoluzione.
IL CICLONE – Bisogna dire che complessivamente l’Inter non si è espressa male, anzi almeno fino al secondo gol di Totti ha avuto anche il pallino del gioco. Ma a questo giro si è trovata davanti una squadra che in queste settimane si sta esprimendo come nessun’altra sin qui nel campionato italiano. Con quell’aria che fa molto attore da cinema transalpino e le idee chiare sin da subito, Rudi Garcia è arrivato in Italia e ha plasmato dalle ceneri una macchina veramente perfetta. Che ieri, alla qualità del gioco e alla forza che ne hanno fatto la capolista solitaria del torneo, ha aggiunto una dote non indifferente: il cinismo. Tre gol nati a punire altrettanti errori dei nerazzurri, per una leziosità di troppo piuttosto che per un pallone tenuto troppo tra i piedi, fino al terzo gol che rappresenta la riscrittura del manuale del perfetto contropiede. Se vogliamo trovare l’icona, il simbolo di questa Roma rinata, ancor più di un Francesco Totti che ha ritrovato una condizione strepitosa e di una difesa davvero d’acciaio con Mehdi Benatia già leader, allora questo può essere identificato in Gervinho. Che ieri ufficialmente era uno, ma i difensori dell’Inter probabilmente in campo ne vedevano otto: per come si muoveva su tutto il campo senza dare punti di riferimento, per la velocità delle sue partenze, per l’arte innata nello schivare gli avversari. Avrebbe meritato anche il gol, l’ivoriano, se non avesse avuto a che fare con un Handanovic tornato in palla dopo la bambola del primo tempo. Ma in questo giocatore, pupillo di Garcia, la Roma ha trovato un’iniezione di qualità impressionante. Un difetto? I troppi gialli, espressione negativa di tanta tensione agonistica.
MEA CULPA – Nemmeno l’amuleto della giacca tolta stavolta ha funzionato, al punto che ad un certo punto l’ha anche rimessa, segnale che per lui può equivalere ad alzare bandiera bianca, al di là del freddo. Non è stata una brutta Inter, ma dopo un risultato così chi perde alla fine ha sempre torto. E Walter Mazzarri non si è nascosto dietro un dito nel post-gara: troppi errori, troppe ingenuità punite con una chirurgia glaciale dalla Roma. Soprattutto, al di là degli episodi e dell’aspetto psicologico, oltre che degli alibi legati soprattutto all’assenza di un elemento cardine come Hugo Campagnaro pagata stavolta sì a caro prezzo, l'allenatore è stato bravo nel sottolineare che in qualche elemento questa è una rosa che deve ancora crescere. Ed è vero: questa è una squadra ancora tutta da cementare, di fronte aveva un organico bravissimo a trovare gli equilibri e la compattezza in pochissimo tempo e la differenza è balzata comunque fuori. Nella ripresa poi è venuta meno la fiducia, e nemmeno i cambi, ormai tardivi, e la superiorità numerica che poi è durata davvero poco visto l’infortunio di Ricardo Alvarez, hanno dato la scossa sperata. Comunque non è lecito gettare il bambino con l’acqua sporca dopo il primo inciampo: bisogna riconoscere i propri errori ma anche capire che l’obiettivo è quello di crescere e queste sconfitte alla lunga possono anche essere salutari per l’identità di un gruppo tutta da riformare. Come detto prima, stavolta alcuni dei punti fermi tattici di Mazzarri hanno vacillato (la sola punta non ha pagato, inutile girarci intorno), ma nel cammino verso la risalita su una strada comunque accidentata l’ostacolo che ti fa cadere è sempre dietro l’angolo.
ACCELERATORE A TAVOLETTA – L’importante, ora, è non porgere più la guancia dopo questi schiaffoni. E soprattutto, iniziare davvero ad accelerare adesso che il calendario, subito dopo la pausa per gli impegni delle Nazionali, prevede una serie di partite non proprio proibitive almeno fino al rendez-vous di Walter Mazzarri col suo passato partenopeo. Al quale vorrà sicuramente arrivarci con tanto fieno in cascina, prima ancora che con grande voglia non tanto di rivalsa, quanto di dimostrare che quel passato glorioso ormai è alle spalle e che è il presente, ora, a dare soddisfazioni…