Zanetti: "Siena-Inter non finiva più, Mourinho di un'altra categoria. Con Cordoba rischiammo un incendio"
Il vicepresidente dell'Inter Javier Zanetti è stato ospite di 'PoretCast', il podcast del comico Giacomo Poretti, grande tifoso nerazzurro. El Tractor comincia dalla sua vita dopo l'addio al calcio giocato: "Continuo ad allenarmi, a correre, gioco con i miei figli. Fa parte di me, lo faccio perché mi fa sentire bene. I tempi sono cambiati tantissimo rispetto alla nostra infanzia, io giocavo in Argentina in un campo di terra battuta, a volte parlo con mio figlio che gioca in campi perfetti e spesso si lamentano pure. Ci dobbiamo adattare a quello che si vive adesso. Io da bambino tifavo Independiente e mi facevo le telecronache da solo, è una tappa che non dimenticherò mai: ero felice con poco, le cose semplici sono quelle che ti rendono più felice".
Sui suoi inizi: "Mi è sempre piaciuto correre dietro al pallone e quello non è cambiato, poi quando sono arrivato in Italia mi sono adattato. Il mio idolo calcistico era Bochini, il numero 10 dell'Independiente. Lui ha avuto una carriera come la mia nell'Inter, ha giocato lì tutta la vita. In Argentina avevo più spazi, all'Inter e in Italia hai poco tempo per pensare. Il mio primo allenatore è stato Ottavio Bianchi - ha raccontato -, mi ha chiesto dove preferivo giocare. Dopo una settimana c'era l'esordio contro il campionato contro il Vicenza, io gli avevo detto che preferivo a destra ma mi fece giocare a sinistra. È stata un'emozione incredibile in uno stadio imponente, il destino ha voluto che vincessimo 1-0 e lì è iniziata la mia storia all'Inter, la prima di 858 partite".
Tanti allenatori avuti in carriera: "In un anno ne abbiamo cambiati quattro, era un anno in cui non riuscivamo a trovare la quadra. Quando sei in una squadra come l'Inter si è abituati a vincere. Moratti investiva tantissimo e non riuscivamo a vincere, ma il tempo poi ci ha risarciti. Con tutti ho avuto grandi rapporti, mi ricordo Simoni che per noi è stato un papà. Era una famiglia, un gruppo compatto grazie alla sua leadership silenziosa. Hodgson era bravissimo, ho avuto un episodio con lui ma ho sbagliato io. Non avevo capito la sostituzione, ma ci siamo abbracciati tre secondi dopo".
Inevitabile parla di Mourinho: "È una persona di grande carisma, un vincente. Ricordo che mi telefonò dopo aver firmato con l'Inter, si presentò e si scusò per il suo italiano anche se era perfetto. Era avanti, di un'altra categoria. L'ultimo per me è stato Mazzarri", dichiarazione salutata da una risata del pubblico.
Sul suo infortunio avuto a fine carriera: "Madre natura mi ha fatto giocare fino a 41 anni senza avere praticamente mai nessun infortunio se non questo qui che mi arriva a 39 anni - ha raccontato -. Mi sono rotto il tendine d'Achille e ho capito subito che era grave. Tutti pensavano che la mia carriera fosse finita, io già pensavo a come lavorare e a come rientrare perché non volevo chiudere così. Dipende molto da come uno affronta le difficoltà, io sono un ottimista, sempre positivo. E mi sono regalato un'altra stagione da protagonista. Adesso ci sono anche gli psicologi che ti aiutano, quando giocavo io non c'erano, credo che siano molto utili perché spesso dietro alcuni infortuni c'è un problema mentale".
Ancora su Mourinho: "Ci ha portati a credere che potevamo vincere anche in Europa, ci ha fatti andare oltre le nostre possibilità. C'era convinzione da parte di tutti che fosse la strada giusta, in due anni noi ci sentivamo imbattibili. Per batterci sentivamo che gli altri dovessero fare cose straordinarie, lui era un grande condottiero. In conferenza sembra una cosa, ma in realtà è molto alla mano, comprensivo. E trattava tutti uguale, giocava sempre chi meritava. Spesso non si parla di chi va in panchina, ma sono loro che ti fanno giocare bene, sono fondamentali e spesso possono diventarlo nei momenti chiave della stagione".
Sulla squadra del Triplete: "Eravamo un gruppo forte, ci sentivamo tutti importanti ed è importante che un allenatore trasmetta questo concetto. Io dicevo sempre alla squadra che la cosa più importante è il gruppo, se ognuno va per conto suo difficilmente riesci a vincere. Se ho mai avuto paura? La paura fa parte del calcio, ma quando sei tranquillo con te stesso prima o poi il lavoro paga. Se sei costante e resiliente prima o poi i risultati arrivano, con l'Inter abbiamo faticato ma poi negli ultimi dieci anni siamo riusciti a vincere tutto".
Si torna a parlare anche di Siena-Inter: "È stata più difficile della finale di Champions… una tensione incredibile, soprattutto negli ultimi minuti. In quella partita abbiamo fatto gol, mancano quattro minuti e poi Rosi, il terzino romanista, ha fatto un cross. Ci siamo guardati, Maicon era diventato bianco e Julio Cesar poi ha tirato un sospiro di sollievo. Ricordo anche il ritorno con il Barcellona, non finiva più… era la squadra più forte del mondo con Messi che aveva 15 anni in meno, è stata una partita eterna".
Sulla finale di Madrid: "Io ero in camera con Cordoba che è molto credente, devoto a Santa Rita. A mezzanotte accendiamo la candela per Santa Rita, ma ci siamo addormentati tutti e due. Meno male che ci siamo svegliati poi, prendeva fuoco tutto l'albergo… Il primo impatto con il Bernabeu è stato bellissimo, c'era un bel colpo d'occhio dei nostri tifosi. Era troppo bello, poi dopo aver vinto abbiamo visto il Duomo pieno, Milano piena di interisti… solo l'Inter".
Su Taribo West: "Troppo divertente. Durante la partita 80 minuti era concentrato, poi aveva 10 minuti in cui faceva quello che voleva. Un giorno stavamo facendo tattica con Lippi, gli diceva che doveva accorciare… dopo tre volte Taribo gli rispose 'Dio mi ha detto che non devo accorciare'. E abbiamo vinto la Coppa Uefa con lui. Il più forte con cui ho giocato? Ronaldo. Tra gli avversari è stata dura marcare Zidane e il primo Kakà del Milan. Con Gattuso e Nedved ricordo delle lotte pazzesche, con Maldini c'era grande rispetto e c'erano sempre dei bei derby. Nel mio primo derby ricordo un fallo da rigore su di me, Baresi mi ha alzato di peso dicendomi 'Non è rigore'. Secondo me era rigore, col VAR l'avrebbero dato".
Sull'Italia: "Qui sto benissimo, ormai mi sento italiano, i miei figli sono nati qui e hanno pianto quando l'Italia è rimasta fuori dai Mondiali contro la Svezia. L'Italia mi ha dato tutto, ho grande rispetto per questo Paese e quando vado altrove mi rendo conto di quanto mi manca. È stato bellissimo per il Mondiale dell'Argentina, c'erano tanti tifosi di altri Paesi che tifano per noi".