Fat&Curious - Quel sottile oceano di differenza
Nel corso del fiume di dichiarazioni di questi ultimi giorni provenienti da Giacarta, il neo presidente Erick Thohir ha anche espresso un concetto molto interessante. Parlando dell’accordo sottoscritto tra l’Inter e i DC United, la franchigia della Major League Soccer, il massimo campionato calcistico a stelle e strisce di proprietà proprio del neo numero uno di Corso Vittorio Emanuele, Thohir ha affermato di avere un’intenzione chiara legata a questo accordo: “Mi piacerebbe portare qui in Italia il sistema di industria sportiva presente negli Stati Uniti”. Erick Thohir da Giacarta, indonesiano di nascita ma statunitense per formazione e soprattutto per mentalità, apre le porte ad un traguardo ambizioso: attraverso lo sviluppo dell’Inter, riuscire ad importare il sistema vincente dello sport business che ha fatto, ancor più del gioco in sé, le fortune planetarie delle grandi leghe sportive d’oltreoceano.
Quello tra Inter e DC United non è l’unico accordo sottoscritto tra una franchigia del campionato Usa: basti pensare che il Real Salt Lake, la squadra che ieri si è giocata contro lo Sporting Kansas City la finale del campionato Mls, ha di recente sottoscritto una partnership con il Real più famoso del mondo, il Real Madrid. Ma più in generale, molti club europei stanno contribuendo alla crescita esponenziale della Major League Soccer e altri in futuro hanno già programmato di farlo, come ad esempio il Manchester City che ha studiato una collaborazione storica con la leggendaria franchigia di baseball dei New York Yankees che porterà, nel 2015, al lancio del New York City FC. Un mondo in espansione, quello del soccer, dopo decenni in cui si è provato a impiantarlo a forza con risultati mai davvero apprezzabili, ma per il quale alla fine si è trovata la chiave giusta per far esplodere la passione e la curiosità degli statunitensi, non solo quelli di origine latina, per uno sport che nemmeno fino a troppi anni fa veniva guardato con sospetto perché, giocandosi coi piedi, avvicinava nella loro visione delle cose l’uomo alla scimmia.
L’Europa, il continente dove il calcio è nato, guarda con sempre maggiore attenzione e interesse a quanto sta accadendo dall’altra parte dell’Atlantico, e collabora, come si è detto, in maniera attiva, al suo sviluppo. Ma nel progetto Major League Soccer c’è, inevitabilmente, anche tanto del sistema sportivo americano. Basato su alcuni concetti forse improponibili, se non altro per tradizione in Europa, come ad esempio l’assenza di interscambio con promozioni e retrocessioni tra leghe, oppure l’impiego delle franchigie, non proprio dei club con radicamento storico e geografico ma gruppi che possiedono una licenza a partecipare ad un determinato campionato e che attraverso il risultato sportivo cercano di arrivare all’obiettivo del profitto economico, e se non si riesce ad ottenere prestazioni soddisfacenti in una città si può tranquillamente trasferire titolo e licenza da un’altra parte, lontana anche migliaia di chilometri. Ma anche su principi di competitività ed equilibri finanziari come ad esempio quel salary cup di cui spesso si parla circa una sua introduzione anche in Europa. Ma soprattutto, le leghe sportive americane hanno tra i loro punti di forza quello di saper costruire dei progetti vincenti grazie alle cooperazione di tutte le forze, con la guida di un capo carismatico, la figura del commissioner da noi tanto anelata.
Lo sviluppo della Major League Soccer, in questo senso, può essere ritenuto emblematico: creata sulla spinta dell’assegnazione agli States dei Mondiali di calcio del 1994, non nacque sotto una buona stella, visto che il suo inizio fu programmato per il 1995 ma slittò all’anno successivo. I primi anni, poi, furono contraddistinti dalla forte influenza dello stile di gioco Made in Usa (tempo effettivo, shootout in caso di parità, poi l’introduzione di due tempi supplementari da 10 minuti con golden goal). Il gioco non attraeva, le franchigie perdevano progressivamente di valore, nessuno osava investire al punto da arrivare al controllo di ben sei squadre su 10 da parte di una sola holding. La svolta, agevolata anche dall’ottimo Mondiale 2002 degli Usa, arrivò con l’insediamento di Don Garber, ex Nfl, nel ruolo di commissioner. Sotto la sua guida la Mls ha cominciato la fase di rinascimento, grazie all’introduzione di regole atte ad agevolare l’arrivo di grandi stelle ingaggiabili al di fuori del tetto salariale (la famosa ‘Designated Player Rule’), ma anche di agevolazioni e di un sistema di controllo dei costi col quale favorire l’arrivo di nuovi proprietari, il tutto sempre sotto il controllo della stessa Lega, e di una migliore distribuzione delle crescenti risorse in un’ottica di stabilizzazione finanziaria, grazie alla quale le franchigie, moltiplicatesi cammin facendo, sono arrivate praticamente tutte ad avere un loro stadio di proprietà. Con un occhio di riguardo anche ai giovani e alla formazione (anche nel soccer c'è il sistema del draft col quale vengono selezionati i migliori giocatori in uscita dai college).
I risultati ottenuti sono impressionanti: la Mls oggi è fra le prime dieci leghe al mondo, il valore complessivo delle franchigie è aumentato del 175% in cinque anni, la considerazione anche mediatica è cresciuta in maniera significativa. Risultati che confermano la bontà e l’eccezionale qualità dell’industria sportiva americana. Che vede forse il suo emblema nell’Nba, il torneo delle stelle del basket: passata dall’essere un torneo poco considerato e vicino al collasso, anche per le vicende extra-sportive di diversi suoi protagonisti, legate soprattutto a problemi di droga, ad un fenomeno interplanetario conosciuto, visto e amato in tutto il mondo. Grazie al lavoro del commissioner David Stern, alla sua opera di pulizia prima ed espansione del marchio poi, agevolato dalla presenza, nei suoi primi anni, di campionissimi come Larry Bird, Magic Johnson e soprattutto Michael Jordan, coi quali l’Nba è diventata quello che è ancora adesso, con un’immagine fresca e vincente da esportare nel mondo. Il tutto condito da sapienti iniziative che hanno rinforzato su scala globale il brand della Nba, tra eventi in giro per il mondo e sapienti campagne marketing e pubblicitarie (andate a vedervi su Youtube lo spot natalizio, una delizia).
Questo è, a grandi linee, lo sport Usa: una macchina perfetta che sa produrre risultati eccezionali in campo e fuori, e scusate tanto se magari questa definizione è riduttiva. Erick Thohir ambisce a portare anche in Italia questo modello, lui che delle ambizioni ha sempre fatto un piatto forte. Ma prima dovrà studiare molto quello che è il sistema italiano ed europeo, e capire che la differenza tra quanto accade qui e quanto succede negli States è ancora molto ampia, forse anche più di un oceano. Negli Usa tutto è stato reso possibile anche grazie all’unità d’intenti dei protagonisti, alla presenza di un decisore forte e autorevole, alla creazione di politiche concrete. Tutte cose che in Italia, purtroppo, latitano: riuscirà il nostro eroe a compiere questa impresa?