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The Polemic One - Ma cosa volete che ne capisca di calcio uno dell'Indonesia?

di Alessandro Cavasinni

Un tale fa all'amico: “Ma ti rendi conto? Nicola Ventola! Cosa può capire di calcio uno che arriva dall'Indonesia e cita Nicola Ventola tra i suoi interisti preferiti?! Non scherziamo, sarà un fallimento!”.
L'altro gli risponde: “Peggio che con Moratti?”.
“Sì, sì! Molto peggio! Almeno quello lì ci ha fatto vincere qualcosa alla fine, con questo andremo dritti in Serie B!”.
“Addirittura!”.
“Certo, ti dico! Con questo Togir, Tosir... Insomma, come diavolo si chiama? Lui, quello basso e paffutello, con l'aria stranita di chi sembra esser sbarcato da Marte. Finirà malissimo, te lo assicuro”.
“Bah... Anche leggendo qua e là, non è che se ne ricava un'impressione diversa. In tv, guardo sempre le trasmissioni di pallone: sorrisini, battutine... E quella lì è gente che ne capisce, molto più di me e te messi insieme!”.
“Di te sicuramente, vecchio mio. E ti dirò: che brutta fine ha fatto la nostra Inter! Depredata da un asiatico! Invece col cavolo che il Silvio dà via il suo Milan!”
“Eh no, quello è uno che ci tiene alle tradizioni, alla famiglia. Ora la figlia prenderà in mano la situazione e ci gioco quel poco che ho che a maggio saremo dietro i cugini in classifica!”.
“Per forza, loro hanno Ballottelli! A noi chi resta? Tobir ci venderà tutti e poi se ne tornerà in Indonesia più ricco di prima!”.
“Sicuro”.

Questa conversazione, con toni più o meno accentuati, è una delle tante a cui siamo costretti ad assistere fin da quando è stata resa pubblica la trattativa tra Moratti e Thohir per la cessione del pacchetto di maggioranza del club nerazzurro. Solita boria di saccenteria, grande prerogativa del popolo italiano. Che in gran parte crede fermamente che il mondo gira attorno alla penisola bagnata dal Tirreno e dall'Adriatico. Ma così non è, ormai neppure per il mondo del pallone.

La globalizzazione ci ha portato, per fortuna, a un miscuglio di razze e idee. E non solo a far regnare le multinazionali su tutto e tutti. I sorrisini e le battutine che serpeggiano ovunque sulla capacità di comprendere calcio da parte del nuovo presidente dell'Inter sono quanto di peggio il nostro italico fervore possa produrre. Un'insana voglia di primeggiare, che in realtà cela la normalissima e diffusissima paura dell'ignoto.

Eh già, perché Thohir e l'Inter è un connubio che fa paura a molti; è un matrimonio destinato a far saltare rapporti di forza consolidati, a tutti i livelli. E le prime uscite mediatiche dell'indonesiano hanno già chiarito che non è il cicciobello che in tanti descrivevano. “Io lavoro nel mondo dei media per passione, non per avere il potere. E non ho intenzione di entrare in politica”. Più chiaro di così...

Sovvertire l'ordine precostituito delle cose, come l'idea del prodotto Serie A della Lega oppure il modo generale di pensare all'evento calcistico. “Meglio due feriti che un morto”, si dice dalle nostre parti, talmente abituati a salvaguardare il nostro orticello anche se questo significa non sfiorare quello del nemico, senza contare che poi a rimetterci è l'orto di un terzo. Mentalità bacata, da estirpare.

Forse ci voleva proprio Erick Thohir. E.T., come lo chiamano: nomen omen. Uno che ti cita Nicola Ventola, perché “anche chi ha segnato un solo gol è stato importante per la storia dell'Inter”. Che lezione.


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