Albertosi: "Allodi mi disse che ero dell'Inter, ma..."
Nel corso di una lunga intervista rilasciata al Corriere dello Sport, lo storico portiere della Nazionale Italiana Enrico Albertosi ha svelato un aneddoto sul suo passato che, stando alle sue parole, poteva tingersi di nerazzurro. Ecco alcuni passaggi del colloquio con Walter Veltroni:
Si ricorda l’esordio?
"Certamente, esordimmo a Castelnuovo Garfagnana. Pioveva da matti e io, seguendo i consigli materni, mi ero tenuto la maglietta da sotto, quella di lana pesante. Al primo tuffo piombai in una pozzanghera che sembrava il Triangolo delle Bermude. Quando mi rialzai ero zuppo e mi venne un freddo cane. Presi quattro gol anche perché i palloni di quel tempo, cuoio e stringhe, quando si inzuppavano pesavano dieci volte di più e se ti arrivavano addosso sembravano una palla da cannone...".
Nonostante l’esordio non brillante lei continuò, bambino, a guidare la difesa della Pontremolese.
"Sì, io dovevo dare indicazioni a signori che potevano essere mio padre, quasi mio nonno. Imparai a urlare e a tacere. Poi un ragazzo che lavorava nella società mi portò a fare un provino con lo Spezia. Ma mi chiamarono anche quelli dell’Inter. Avevo quindici anni, ero emozionato come il bambino che ero. Andai con mia madre. La selezione cominciava alle nove del mattino, eravamo centinaia di ragazzi. Si passava le varie prove e i migliori restavano fino in fondo. Insomma, io alle sette di sera ero ancora in campo. Ma poi non mi dissero più nulla, mentre mi chiamò la squadra ligure. Premetto che mio padre voleva continuassi a studiare, mentre io volevo giocare. Fu mia madre, che passò tutta la notte parlandogli, a convincere papà. Il giorno dopo andammo a La Spezia per firmare. Quando tornammo a casa trovammo nella casella della posta il telegramma dell’Inter che mi annunciava l’ingaggio. Com’è la vita...".
Poi la Fiorentina...
"Arrivai alla fine degli anni cinquanta, avevo meno di venti anni. Il titolare era Giuliano Sarti. Gran portiere, dal quale ho imparato molto. Ma lui vedeva in me un rivale. Le riserve che aveva avuto prima non gli davano problemi, uno si rifiutava persino di giocare, aveva paura. Io invece scalpitavo. Sarti lo avvertiva e cercava di smontarmi in tutti i modi. Io ho esordito in prima squadra nel 1958, perché lui era infortunato. Nel frattempo ero stato convocato nella nazionale juniores per il mondiale che si giocò in Lussemburgo e che vincemmo. Quando tornai, durante un allenamento, Sarti mi sibilò: “Tu andrai anche in azzurro ma nella Fiorentina il posto non me lo porti via. Ne dovrai mangiare di polenta...”. Feci la riserva per quattro anni, gli portavo la valigia e lui mi mandava a prendere le sigarette. Fui convocato per i Mondiali in Cile del 1962 nonostante fossi solo riserva. Sarti non ne era certo felice. Diventai titolare solo nel 1963 quando lui fu ceduto all’Inter e iniziò quel cammino che lo portò a vincere, nel club, più di me. Ma per dirle che tipo era, una volta che io feci una partita orrenda e Sivori mi uccellò tre volte lui, alla fine, mi disse: “Capita... Capita, spesso a quelli troppo giovani”.
Come furono gli anni in viola?
"Bellissimi, anche se mi mancò lo scudetto. E ci rimasi male vedendo che la squadra lo vinse l’anno successivo alla mia cessione. Che, anche quella, è una storia particolare. Mi aveva telefonato Allodi, allora responsabile tecnico dell’Inter, e mi aveva detto che ormai ero suo e l’anno successivo avrei giocato in nerazzurro. Infatti quando fui convocato da Baglini, il presidente dei viola, io mi presentai dicendogli che sapevo tutto, che sarei andato volentieri all’Inter. Lui mi guardò come un matto e mi disse che in effetti sarei andato via, ma al Cagliari. Io mi dovetti sedere. Gli dissi che non sarei andato anche perché ero vittima di molti pregiudizi sulla Sardegna. Era il 1968, c’erano stati rapimenti e io avevo paura. Poi volevo andare all’Inter. Pian piano scoprii come erano andate le cose. C’era stata una cena in un ristorante romano, alla presenza dei presidenti viola e rossoblu. Avevano mangiato molto e bevuto di più. Alla fine della serata i cagliaritani, che evidentemente reggono meglio l’alcol, fecero firmare su un foglio del ristorante a Baglini che avrebbe ceduto Albertosi e Brugnera in cambio di Rizzo e soldi. E così, per la seconda volta, Milano sfumò. Ci sarei arrivato, poi. Da rossonero".