.

Ancora Mazzola: "In Nazionale interisti e milanisti non si parlavano. Con Rivera rapporto segreto. Nel '70..."

di Lorenzo Peronaci

Sandro Mazzola, nel corso della lunga intervista rilasciata al Corriere dello Sport, ha parlato anche della sua carriera in Nazionale e della rivalità con Gianni Rivera che ha finito per danneggiare l'Italia ai Mondiali del '70. Ecco le sue parole:

Veniamo ad un’altra grande delusione, la Corea..

“Io ancora non ho capito come abbiamo fatto. Il gol di Pak Doo Ik ci fece andare in tilt. Cercammo per tutta la partita di risolvere con azioni personali. Non ci riuscimmo. Eravamo divisi. Quelli di Inter e Milan non si parlavano. Nelle passeggiate eravamo separati per gruppi. L’unico del Milan che parlava con noi era Pierino Prati. Allora la rivalità tra le squadre della città era una cosa seria e dura”.

E il suo rapporto con Rivera, considerato suo antagonista?

“La verità è che noi non potevamo farci vedere insieme. Avevamo un buon rapporto, ma in segreto. Quando fondammo il sindacato giocatori, che doveva servire a tutelare i più deboli, Gianni e io fummo tra i più attivi. Non potevamo essere amici, ma avremmo voluto”.

Anche nel periodo della staffetta eravate amici?

“Un po’ meno. Vede, io la prima volta ero d’accordo. Avevo fatto un torneo a Toluca e sapevo che recuperare era molto difficile, dopo uno scatto. Lo dissi ai miei compagni: poco contropiede o lanci lunghi e molto gioco alla brasiliana, tocchi piccoli per distanze ragionevoli. Io non ero, all’inizio, titolare. Poi lo divenni, dopo un’amichevole in cui noi riserve entrammo nel secondo tempo e giocammo come dicevo io. Per questo, contro il Messico, sapevo della staffetta ed ero d’accordo. Bisognava rifiatare, specie per chi giocava a centrocampo. Ma con la Germania no. Non lo sapevo e non ero d’accordo. Nello spogliatoio, nell’intervallo, mi tolsi gli scarpini e li scagliai nella borsa dicendo parole poco signorili. Mi giravano proprio. Non riesco a darmi pace per non aver finito quella partita e non aver giocato i supplementari. Ma siccome ogni partita è unica forse con me in campo non ci sarebbero stati quei trenta minuti che sono nella storia del calcio. Chissà”.

Col Brasile sembravamo non averne più…

“Sì eravamo stanchi proprio per quei supplementari. Ma c’è un’altra cosa da dire. La nostra generazione, quella degli europei del 1968 e del Messico, ha ridato dignità e orgoglio al calcio italiano. Fino al Milan di Rivera e Maldini e all’Inter il nostro calcio era screditato all’estero. Era un calcio mediocre, triste, quello che ci aveva fatto eliminare nel 1954 e nel 1958. Poi arrivammo noi, quelli nati con la guerra, quelli che volevano mangiare il mondo con il talento e la voglia di farlo. Però col Brasile sbagliammo proprio per un tipico difetto conservatore italiano. Loro giocavano con cinque numeri dieci, noi invece non potevamo neanche immaginare di far scendere in campo insieme Mazzola e Rivera, assurdo. Io, dopo la Germania, ero sicuro che la finale l’avremmo giocata tutti e due. Al calcio chi sa giocare gioca. Così fecero i brasiliani. E vinsero”.


Altre notizie