Boateng: "La gara di S. Siro andava fermata. Mi sarebbe piaciuto vedere un gesto di un giocatore dell'Inter"
A sei anni dal suo gesto simbolico di lasciare il campo in un Pro Patria-Milan perché bersagliato dai razzisti, Kevin Prince Boateng, oggi al Sassuolo, si esprime amaramente sui cori vergognosi rivolti a Koulibaly durante Inter-Napoli: "La verità è che da allora non è successo niente - racconta alla Gazzetta dello Sport -. Anzi, ora è tutto più grave. Con me a fare ‘buu’ razzisti furono in 50, a San Siro due sere fa erano in 5 mila, forse 10 mila. C’è qualcosa che non va".
Quale sensazione ha provato nel caso Koulibaly?
"Mi sono sentito male per lui. Sono stato male io stesso, per tutti quelli che erano lì e si sono visti costretti ad ascoltare certe cose".
C’è chi prova a derubricare la cosa con la parola ignoranza.
"Macché, questo è razzismo, lo sanno tutti. Chi fa questo, è perché pensa che noi di colore siamo scimmie. Poi, certo, c’è chi va dietro a determinati comportamenti anche per ignoranza. Ma il punto di partenza è il razzismo. Andate a chiederlo a Koulibaly, sono sicuro che sia sotto un treno”.
Salvini però sostiene che nei confronti di Koulibaly non c’era razzismo e che è stato giusto non sospendere la partita.
"Non è così, non sono d’accordo. La gara andava fermata, perché il giocatore si sentiva male, gli stessi giocatori dell’Inter stavano male. Si era in diretta tv, sarebbe stato giusto dire ‘basta, non giochiamo più’, sarebbe stato un bel segnale per dire che queste cose non devono più accadere".
Negli spogliatoi, con i suoi colleghi, ne parla?
"Certo, è il tema più grande. Ci vuole coraggio in queste situazioni. Mi sarebbe piaciuto, ad esempio, se l’altra sera a fermarsi fosse stato un giocatore dell’Inter. Sarebbe stato il segnale più forte da mandare. Ignorare il razzismo è il problema più grande. Io ho fatto finta di nulla per 20 anni, ora non voglio più farlo. Nel nostro mondo ci vorrebbero più Kaepernick (il giocatore di football americano protagonista della protesta contro il razzismo, ndr). E invece da quando sono tornato in Italia non è successo niente".
Crede che le società di calcio facciano abbastanza per combattere questo fenomeno?
"No. Non basta mettere le bandiere ‘no to racism’, non basta lo spot Uefa nelle gare di Champions. Bisogna fare di più. Magari con campagne pubblicitarie migliori. Oppure inserire nelle scuole, vicino all’ora di matematica, anche un argomento del genere”.
Eppure la Uefa parla di tolleranza zero...
"Fatti, non parole. Non voglio più sentire parlare di tolleranza zero, se accadono ancora episodi simili vuol dire che si è fatto poco. Dobbiamo iniziare subito a muoverci. Oggi. Anzi, ieri...".