Capello: "Modello Ferguson? In Italia non siamo culturalmente attrezzati"
Fonte: Gazzetta dello Sport
In Italia è pressoché impossibile replicare il modello Alex Ferguson. Ne è convinto Fabio Capello, intervistato oggi dalla Gazzetta dello Sport.
Perché?
"Il nostro calcio non è culturalmente attrezzato per un modello genere Ferguson e penso che alla fine ognuno cercherà di difendere il suo orticello, ma poi bisognerebbe spiegare bene di che cosa si tratti e se sia compatibile con l’attualità".
Partiamo dal modello.
"Ferguson, come Wenger, diede un’impronta fortissima al suo club. Era il capo assoluto dello United. Lavorava poco sul campo, dove delegava uno staff che eseguiva alle lettera i suoi ordini. Anche Wenger aveva il controllo totale, sebbene soprattutto nei primi anni sul campo fu decisamente più presente rispetto a Ferguson. Parliamo però di un calcio anni Novanta e primo decennio del secolo attuale. Il football è cambiato e sta cambiando soprattutto su due versanti: tecnologia e comunicazione. I social sono una realtà con cui un tecnico contemporaneo deve per forza confrontarsi".
Bisogna allenare anche i social.
"In realtà bisogna confrontarsi con mogli, fidanzate, influencer e via dicendo. Con le rose composte da venticinque giocatori, devi fare i conti con il mondo che ciascun calciatore si porta dietro".
Quindi?
"La definizione e il rispetto dei famosi tre ruoli, presidente, direttore sportivo e allenatore, mi pare ancora la strada da seguire".
Oltre Fabio Capello, altri allenatori hanno cercato in Italia di proporsi in stile Ferguson?
"Penso che Roberto Mancini nell’esperienza al Manchester City si sia mosso verso quella direzione".
Una riflessione sul calcio post Covid?
"La pandemia è stata una tragedia umanitaria, ha messo in ginocchio le economie mondiali e ha aperto crisi profonde in tutti i club europei. L’unico aspetto positivo di questi mesi terribili è stato che con i cinque cambi, almeno in Italia, ci sono stati maggiori spazi per i giovani. Rappresentano il nostro futuro".