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Castellacci: "Ok la ripartenza, ma c'è solo un modo per finire il campionato: ridurre la quarantena"

di Alessandro Cavasinni

L'ex responsabile medico della nazionale italiano, Enrico Castellacci, ha parlato al Corriere dello Sport per chiarire sulla questione protocollo in vista della ripartenza della Serie A. Ecco alcuni passaggi dell'intervista esclusiva.

Professor Castellacci, intanto si ricomincia... 
"Diciamolo: è già una grande vittoria. Buona parte del merito va alla Figc che non si è fermata ai primi “no” e ai muri che la politica ha alzato in questi mesi. Sta ripartendo il mondo, i locali si riempiono, i negozi riaprono, nelle strade scorre vita. Mi sembra giusto che anche un’industria importante come quella del calcio abbia le stesse possibilità". 
 
Che ne pensa del nuovo protocollo per le partite? 
"I club che militano nel massimo campionato potranno applicarlo tranquillamente, ma possiedono potenzialità economiche, organizzative, logistiche e umane non paragonabili. Per le altre leghe la vedo più difficile". 
 
Si spieghi. 
"Come associazione abbiamo portato in Federcalcio due documenti per dare voce ai medici di Serie B e Serie C: i primi hanno delle perplessità, i secondi nel 90% dei casi affermano che difficilmente potranno far rispettare il protocollo. Come trovano i test? Come organizzano i ritiri blindati qualora ce ne fosse bisogno? E poi, scusate se è poco, in Serie C di solito un medico lavora part time. Non riuscirebbe nemmeno a fare la quarantena con il resto della squadra. Non è un caso che la Lega Pro si volesse fermare". 
 
E come la mettiamo con i quattordici giorni di quarantena obbligatoria per l’intera squadra? 
"Se volontà federale e volontà politica coincidono e se tutti hanno scelto di andare avanti, come sembra, perché non pensare a una riduzione della quarantena a sette giorni? Soltanto così il campionato potrebbe andare avanti. Le condizioni sanitarie del Paese continuano a migliorare, bisogna accorciare i tempi del ritiro fiduciario dove comunque la squadra, escluso il positivo, continuerebbe ad allenarsi ma senza poter giocare. Quattordici giorni sono troppi e la normativa del ministero della salute è del 21 febbraio. Nel frattempo è mutato lo scenario". 
 
Riaprire gli stadi a capienza ridotta, come avviene per cinema e teatri, sarà possibile? 
"In questo momento la vedo dura. Se c’è l’obbligo di mettere in quarantena 300 persone per un solo caso di Covid-19, figuriamoci cosa potrebbe succedere se entrasse il pubblico negli impianti… Facciamo un passo alla volta". 
 
Siete ancora preoccupati per le troppe responsabilità sulle spalle dei medici? 
"Abbiamo combattuto una battaglia e mi sembra che alcune indicazioni siano state recepite. In un primo momento ci siamo subito attivati, inviando una comunicazione scritta dai nostri legali al ministro e alla federazione. Volevamo ribadire che giuridicamente si stava seguendo una pista sbagliata. I medici sono sempre sottoposti al codice civile e penale, sanno benissimo qual è la loro responsabilità e l’hanno sempre assunta. Ma si stava sottovalutando un concetto banale, quanto necessario: la condivisione del rischio". 

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