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Ian Murray: "Inter-Rangers a porte chiuse: nei 90 minuti non cambia molto, diverso il riscaldamento"

di Daniele Alfieri

Per Ian Murray giocare a portare chiuse sarebbe il "miglior scenario tra i peggiori" per il calcio scozzese che si appresta a fronteggiare l'emergenza Coronavirus, ma che pur consente ancora oggi l'ingresso dei suoi tifosi negli stadi. Murray, ex difensore e oggi manager dell'Airdrie, club che milita nella Scottish League One ossia il terzo livello del calcio scozzese, faceva parte dell'undici dei Rangers che il 28 settembre 2005, nella seconda sfida del gruppo H di Champions League, fu sconfitto 1-0 dall'Inter con una punizione di Pizarro, in un San Siro desolato e a porte chiuse a causa della squalifica dovuta agli incidenti dell'euroderby contro il Milan della stagione precedente. "Quel match con i Rangers contro l'Inter a San Siro - ricorda oggi Murray - è stata l'unica volta in cui ho giocato una partita di competizione a porte chiuse. La differenza maggiore è nel riscaldamento, quando esci dagli spogliatoi per entrare in campo e non trovi nessuno. Ma quando inizia la partita le dinamiche sono le stesse. Per quel che ricordo l'assenza del pubblico non ha avuto un ruolo significativo nei 90 minuti. Alcuni sosterranno che questa circostanza aiuti la squadra che gioca in trasferta, perché chi gioca in casa non ha il supporto dei suoi tifosi. Sì e no, in realtà ci sono pro e contro per entrambe. I giocatori sono abituati a giocare anche di fronte a pochi tifosi, inoltre negli allenamenti non c'è nessuno. Quindi è il contorno che è leggermente diverso in uno stadio vuoto. Ma per la partita in sé, nei 90 minuti non cambia molto. Alcune squadre potrebbero sentirsi svantaggiate perché non hanno i propri tifosi allo stadio, ma qualcosa bisogna dare, non possiamo aspettarci che sia tutto normale. Sono certo che troveremo una soluzione comune. I manager e i giocatori vogliono giocare le partite, e vogliamo giocarle nella maniera più corretta possibile":

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