Il campo diventa come una tela d'arte dei Kovacic
Lo sport è una forma d’arte. Quando nasce un fuoriclasse, quando emerge un talento, si cerca sempre un termine paragone, un riferimento. La crescita di Mateo Kovacic è sempre stata accompagnata da paragoni molto impegnativi ma anche giustificati visto quello che ha già fatto vedere. Avvicinato per caratteristiche a Luka Modric, trasferitosi la scorsa estate dal Tottenham al Real Madrid, accostato a Robert Prosinecki e a Zvonimir Boban, che proprio in queste ultime ore si è complimentato con l’Inter per questo acquisto. Mateo potrebbe anche assomigliare al connazionale Mijo. Perché no? Ambedue fanno Kovacic di cognome. Il primo è del 1994: disegna, inventa e colora in campo. Il secondo è del 1935 e lo fa sulla tela. Un calciatore e un pittore. In fondo non sono due mondi così lontani. Il primo usa i piedi per creare capolavori, il secondo usa le mani. Con l’identico fine ultimo: l’ammirazione, la passione, lo stupore del pubblico, di chi guarda. Si possono trasmettere messaggi in mille modi agli altri, basta seguire la propria passione, i due Kovacic usano due mezzi diversi.
Mateo salta l’uomo, punta la porta, dribbla, passa. scatenando stupore e meraviglia col pallone, Mijo osserva, contempla, dipinge, scatenando forti stati emotivi col pennello. Sono due naïf, i Kovacic. Quell’arte creata da artisti che non hanno frequentato accademie o scuole, caratterizzata da mancanza di elementi che si possono riscontrare nell'arte degli artisti comuni. Sono due fuori schema, quello che esprimono è nato dentro di loro e con loro. Il numero 10 sulle spalle vuole dire questo. Cercare la bellezza. Non di solo cibo e vino vive l’uomo.