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Il doppio ex Felipe: "L'Inter sarà incavolata contro l'Udinese, zero problemi dopo il derby". Poi i retroscena su Dimarco e Brozo

di Raffaele Caruso

Felipe, ex difensore di Inter e Udinese, si è concesso ai microfoni de La Gazzetta dello Sport alla vigilia della sfida tra le due squadre. "I nerazzurri, tra City e derby, hanno vissuto due partite impegnative - le sue parole -. Saranno incavolati, con l’obiettivo di dimostrare che la partita contro il Milan è stata solo un passo falso. Troverà un’Udinese che dopo l’ottimo avvio di stagione è stata sconfitta male dalla Roma. Runjaic non lo conoscevo, però rispetto al recente passato bianconero mi sembra diverso, innovativo. L’Udinese ha ingranato la marcia giusta. Per me domani finisce 3-1 per l'Inter"

"Strascich dopo il ko nel derby? Ma no, non c’è pericolo. L’Inter sa di essere la squadra da battere e tutte le partite saranno più difficili perché deve confermarsi. Ma ha una solidità di squadra importantissima, non avrà problemi psicologici dopo il derby - ha aggiunto -. Ci rimani male, perché devi aspettare il ritorno, ma non cambia niente. È stato bravo il Milan a impostare la partita, ma l’impegno di Champions ha pesato".

Spazio poi ai ricordi nerazzurri.  "Arrivai a mercato concluso, a febbraio, da svincolato. Un’esperienza bellissima. Ogni tanto, quando qualcuno dice ‘Lui ha giocato nell’Inter’ quasi mi vergogno. Un ambiente devastante, di cui ti accorgi davvero quando ci entri. 4 mesi e qualche presenza, devo dire grazie a Mancini che mi prese dopo la mia rescissione con il Parma. C’è un aneddoto di quel periodo che mi lega a Guarin: ero appena arrivato, un giorno mi chiama e mi dice ‘Feli vieni qua’. Ho pensato di aver fatto qualcosa di sbagliato. Lì per lì con l’Inter mi stavo solo allenando, mi avrebbero preso solo se avessero passato il turno in Europa League. Fredy mi guarda e dice ‘Tranquillo, sei dei nostri. Benvenuto’. E dovevano ancora giocare. Dopo l’Inter ho giocato altri sei anni, ma quella esperienza mi ha cambiato e aiutato tantissimo a livello mentale, convincendomi ad allenare. Il ricordo più bello? Con Brozovic: io non parlavo inglese, lui non parlava italiano ma ci capivamo alla grande. A gennaio eravamo arrivati io, lui e Podolski: l’Inter giocava in Europa League, ma noi non eravamo in lista e ci allenavamo a Milano nei due giorni in cui la squadra partiva. Non ho mai visto uno come Brozo. Sembrava non facesse fatica, non l’ho mai visto respirare profondamente. Io morivo, lui era serenissimo. Sembrava sempre incavolato col mondo ma in realtà era simpaticissimo. Ma stavo bene con tutti: Palacio, Handanovic con cui avevo già giocato, Ranocchia. Andrea mi diede una mano subito ad ambientarmi. Icardi stava un po’ sulle sue ma è una persona perbene: giocandoci contro mi ero fatto l’immagine che fosse un cagacazzi, ma sbagliai in pieno. Io nell’Inter di oggi? Non farei neanche panchina".

"Dimarco? Venivano spesso lui e Bonazzoli. Si vedeva che tecnicamente era già forte forte. Ma lo ha trasformato l’esperienza a Verona, quando ha capito che non basta solo la tecnica. Doveva lavorare anche sulla fisicità, perché era un po’ in carne quando veniva con noi. Ma da Verona in poi ha iniziato a curare tutto molto bene. Oggi ha tutto, è un quinto con piedi da trequartista. Non ha difetti".


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