Julio Cesar riavvolge il nastro dei ricordi: "Parata su Messi, la più bella in carriera"
di Egle Patanè
Sul rigore parato a Ronaldinho al derby:
"Io penso che ogni portiere ha il suo modo di vivere quel momento lì. Dipende anche dall’allenatore dei portieri che hai. Io ero uno molto intuitivo ma mi studiavo anche l’avversario. Dipende molto dal momento, poi chiaro che ci sono volte in cui va bene e altre in cui va male. Ci sono volte in cui il preparatore dei portieri ti ricorda cosa fare, ma la maggior parte delle volte ho seguito il mio istinto".
Semifinale di ritorno al Camp Nou:
"Una delle serate più magiche della mia vita come portiere dell’Inter. Siamo arrivati alla partita molto fiduciosi anche sapendo che il Barcellona era la squadra da battere. Mi ricordo che su un giornale importante, dopo aver passato il turno contro il CSKA, c’era scritto ‘Inter, ora basta. È finita’ e quello ci è servito tanto per caricare la squadra. Il giorno prima di andare a Barcellona Mourinho ha fatto una riunione bellissima in cui eravamo tutti lì, carichi. C’era una pubblicità della remuntada che avevano cominciato a fare gli spagnoli e arrivati lì si vedeva solo quello. In albergo in Spagna ho spento la tv perché ogni due minuti passava questa pubblicità della remuntada. Mi ricordo che prima della partita vendevano una maglia in cui c’era scritto ‘venderemo cara la pelle’ e Mourinho alla fine della riunione disse ‘allora andiamo a Barcellona a comprare la pelle’ ed era una cosa molto bella che ci disse perché ci caricava".
Sulla parata a Messi:
"È stata veramente una bellissima parata, credo una delle più importanti fatte in carriera. Ha pure tirato Messi, sai?! Uno come lui che fa quel tiro, il suo tiro, e io che con la punta del dito riesco a mandarla fuori, penso che la parata diventa ancora più bella e importante. Ha calciato Messi, il più forte al mondo in quel momento. Per me era solo un movimento normale da portiere perché hai un giocatore davanti e cerchi di togliergli il più possibile l’angolo e così è andata. Io non sono mai stato altissimo ma avevo tanta forza nelle gambe e credo questo mi abbia aiutato".
Dopo la finale col Bayern:
"Dopo il fischio finale vedevo tutti che correvano e si abbracciavano. Io avevo solo una cosa in testa: abbracciare la mia mamma. Perché mi ricordo che i miei amici, la mia famiglia, erano tutti verso l’angolo e io camminavo piano pianino e volevo regalarle i miei guanti e la maglia perché da quando ero bambino lei ha puntato tutto su di me".
Sull’ultima partita:
"Quando da ragazzino pensi di voler diventare un giocatore professionista e poi arrivi a questo momento, cominci a chiedere a te stesso se meriti davvero quel momento o meno. Ti fai un sacco di domande. Io per tutto quello che ho vissuto nella mia carriera credo che Dio mi abbia dato molto più di quanto immaginassi da bambino".
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Domenica 15 dicembre