Mancini sulle intercettazioni: "Offesa la mia dignità"
"Vedere il mio nome accostato a quello di persone condannate ha offeso la mia dignità, perché io non ho fatto nulla" e se al telefono "parlavo di stampelle, lo facevo perché mi servivano per appendere abiti". Parole dell'ex allenatore dell'Inter Roberto Mancini, chiamato quest'oggi a testimoniare nel processo milanese che vede imputato un giornalista accusato di diffamazione, in relazione a un articolo che riportava i dialoghi tra Mancini e un pregiudicato, intercettati nell'ambito di un'inchiesta su un traffico di droga. Davanti al giudice Oscar Magi, si è discusso di un articolo comparso l'anno scorso sulla Gazzetta dello Sport.
"Io conosco Domenico Brescia da 25 anni - ha raccontato Mancini - ero in buoni rapporti con lui perché non sapevo quel che faceva in realtà, altrimenti.. Ora non lo sento più". Mancini, secondo quanto si evince dalle intercettazioni, chiede a Brescia, condannato a 8 anni per spaccio di droga, di procurargli delle stampelle, attrezzi che però, a detta dell'allenatore, "mi servivano per appendere i vestiti. Sapevo che lui aveva un negozio di abbigliamento e per questo gliele chiedevo". Interrogato dall'avvocato dell'imputato, l'ex tecnico nerazzuro ha inoltre spiegato i motivi che portarono l'Inter a licenziarlo: "L'Inter mi ha licenziato per motivazioni tecniche, ma è possibile che ci fossero anche ragioni giudiziarie per loro, come d'altronde la società ha scritto nel comunicato". Mancini non si è costituito parte civile in questo processo.