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Mazzola: "La Juve è superata. All'Inter serve un capopopolo: Icardi deve caricare la squadra. Sul derby..."

di Lorenzo Peronaci

Ai microfoni de La Gazzetta dello Sport - Edizione Milano, Sandro Maz­zo­la si è concesso ad una lunga intervista in cui sono stati toccati vari temi, a partire dal derby di domani sera al 'Meazza', che capita in un momento non proprio felice per l'Inter: "Credo che Man­ci­ni abbia già messo una pie­tra sopra alla gara con­tro la Juve. Sem­mai avrà preso uno per uno i gioca­to­ri, spie­gan­do loro gli er­ro­ri com­mes­si. Certo, a que­sta squa­dra serve un ca­po­po­po­lo in campo".

E chi po­treb­be es­se­re?
"Icar­di. Se ad ini­zio par­ti­ta, palla al piede, tenta su­bi­to un tiro in porta, i suoi com­pa­gni ca­pi­sco­no l’an­ti­fo­na e pos­so­no pren­de­re co­rag­gio".

Chi era il ca­po­po­po­lo della sua Inter?
"Senza dub­bio Luis Sua­rez: noi lo chia­ma­va­mo 'il vec­chiet­to'. Ri­cor­do che, quan­do le cose si met­te­va­no male, cor­re­va da una parte all’altra del campo so­la­men­te per spro­nar­ci. A volte anche per ri­pren­der­ci. Chi ci met­te­va si­ste­ma­ti­ca­men­te in riga, in­ve­ce, era il gran­de Ar­man­do Pic­chi. Anche a fine primo tempo, du­ran­te l’in­ter­val­lo, si pren­de­va la briga di chia­ma­re a sé quei gio­ca­to­ri che ave­va­no bi­so­gno di es­se­re ca­te­chiz­za­ti".

Come mai Man­ci­ni ha pre­ser­va­to Icar­di con­tro la Juve?
"La verità non la sa­pre­mo mai, ma credo abbia vo­lu­to dare una le­zio­ne agli altri. Far loro ca­pi­re che, da soli, avreb­be­ro po­tu­to far­ce­la. Poi le cose sono an­da­te in altro modo, ma ha vo­lu­to sca­te­na­re una rea­zio­ne nel grup­po 'col­pen­do' il nu­me­ro uno. Ti­pi­ca ope­ra­zio­ne da Her­re­ra".

Un aned­do­to su un derby?
"Ri­cor­do un 5-2 per noi (nella sta­gio­ne 1964-65, ndr) dove, all’ini­zio, era­va­mo in dif­fi­coltà. Ad un certo punto, mi sono reso conto che pa­ga­va­mo l’im­po­sta­zio­ne ini­zia­le mia e di Corso. Al­lo­ra mi son detto: 'Vado a gio­ca­re a si­ni­stra'. Vin­cem­mo con un gol suo e due miei. A fine par­ti­ta, chie­se­ro ad Her­re­ra della scel­ta di spo­star­mi: lui ri­spo­se che aveva ca­pi­to che bisogna­va fare così. Si era preso il me­ri­to...".

Di­spia­ciu­to per la par­ten­za di Gua­rin?
"A me pia­ce­va, forse ha pa­ga­to un po’ i suoi gril­li per la testa. Ma ci avrei pen­sa­to bene prima di la­sciar­lo an­da­re. Ha i colpi. E, non a caso, ha de­ci­so il derby dell’an­da­ta".

Quin­di do­me­ni­ca su chi pun­te­reb­be in me­dia­na?
"Tra Medel e Bro­zo­vic, scel­go Medel, al­me­no in par­ten­za: re­cu­pe­ra tanti pal­lo­ni e ne gioca al­tret­tan­ti. Ma la cosa più im­por­tan­te resta la men­ta­lità".

La men­ta­lità, spes­so, parte dall’alto.
"Ai miei tempi, la cer­tez­za aveva un nome e un co­gno­me: An­ge­lo Mo­rat­ti".

Oggi c’è Erick Tho­hir.
"L’ho co­no­sciu­to e mi ha fatto un’ot­ti­ma im­pres­sio­ne. Bi­so­gna solo to­glier­si il cap­pel­lo di fron­te a una per­so­na che viene in Ita­lia e in­ve­ste".

Pro­no­sti­co per do­me­ni­ca?
"So già come va a fi­ni­re, ma non lo vengo certo a dire a voi...".


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