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Nicchi: "Gli arbitri sono pronti, preparati anche a situazioni impensabili. Ma ho temuto per la ripresa"

di Alessandro Cavasinni
Fonte: Gazzetta dello Sport

Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Marcello Nicchi, presidente dell'Aia, parla della preparazione degli arbitri in vista del ritorno della Serie A. "Ero mosso dalla curiosità di rivedere in campo il pallone, i gesti atletici dei giocatori, gli arbitri correre. Mi ha fatto un grande effetto e mi immedesimavo negli arbitri. Sono delle certezze, ma la situazione mi ha fatto pensare a quando arbitravo io e sentivo più difficoltà non nelle partite decisive, ma ad esempio nelle amichevoli: in queste situazioni è più complicato trovare il giusto equilibrio", dice.

Oggi ci siamo davvero, gli arbitri sono pronti?
"Hanno già dimostrato di esserlo. In questi mesi sono stati irreprensibili: si sono preparati, hanno lavorato secondo i piani personalizzati di allenamento, con i metodi consentiti. Quando dall’ipotesi si è arrivati alla certezza di riprendere si sono fatti trovare pronti, sani. Hanno accettato i controlli sanitari, il raduno, la preparazione e le tempistiche. E ora sono caricatissimi, vogliosi di essere i protagonisti in senso positivo di una ripartenza che dopo tante vicissitudini porti tutti ad amare sempre più il calcio, che come si è visto è mancato a tutti".

Anche a porte chiuse...
"Quando li ho sentiti, dopo queste tre partite, i nostri arbitri mi hanno manifestato una grande emozione per il fatto che si giocava e si arbitrava in un ambiente surreale: è più difficile farlo in uno stadio vuoto che di fronte a 80 mila persone. È più dura trovare la concentrazione e l’equilibrio, la giusta misura nelle interpretazioni e nel colloquio con i giocatori. Detto questo, direi che meglio non si poteva fare".

Ora sarà un finale di stagione mai visto
"Questi arbitri sono preparati anche a situazioni impensabili fino a ora, come sarà questa ripresa con partite praticamente tutti i giorni".

Ha mai temuto che non si potesse ripartire?
"Sì per due motivi. Il primo è l’imprevedibilità della regressione della pandemia: i tempi li ha sempre dettati il virus, non li ha decisi certo né il mondo del calcio né la politica. E il secondo perché all’inizio c’era chi voleva lo stop, chi voleva continuare, ognuno diceva la propria".

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