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Spalletti: "La storia delle scommesse è profonda, ci si indigna ma si pubblicizzano. E sui giovani..."

di Egle Patanè

"Troppo spesso indicazioni rigide, nel tempo della formazione dei calciatori, tolgono il gusto di inventare, di cercare soluzioni che non siano quelle prefissate. Nei settori giovanili si tende a premiare la fisicità precoce senza calcolare che il talento può essere nascosto anche nell’incompletezza fisica, e che lì bisogna cercarlo. Bisogna fare attenzione a non appiattire i livelli, a non mortificare talenti e creatività. E se un ragazzo mostra estro ma ha delle pause, lo si aspetti". Parola di Luciano Spalletti che nella lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera tocca il sempre discusso argomento relativo ai giovani.

"La cosa che mi preoccupa di più è proprio che ci sono pochi italiani titolari, ovunque. Quello che non va bene è che i talenti italiani che emergono nel campionato primavera vengano poi mandati a farsi le ossa nelle serie inferiori o si siedano in panchina. Io esorterei le società a inviarli a sperimentare le prime divisioni straniere e ad abituarsi alle pressioni, al bisogno di risultati" ha aggiunto.

Tu vedi anche la necessità di una educazione morale, etica, dei giovani calciatori? Troppi episodi, a cominciare dalle scommesse, sembrano dire di sì. 
"La storia delle scommesse è profonda. Le pubblicità che vengono proposte tre o quattro volte a partita. Le società di scommesse come sponsor. Ci si indigna, ma si pubblicizza una cosa che ha ragione di esistere solo economicamente e in nessun modo eticamente...".

Come sono cambiati, nel tempo, i calciatori? 
"Da quando ho iniziato i calciatori sono sicuramente cambiati, soprattutto perché stanno diventando sempre più atleti a tutto tondo. Allo stesso tempo c’è da dire che sono cambiati anche gli allenatori, i dirigenti, i presidenti e le tipologie di proprietà. Purtroppo quello che non sta cambiando in Italia è la mentalità".


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