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Thiago Motta ricorda il Triplete: "L'Inter aveva una sua identità. Mou trasmetteva personalità"

di Stefano Bertocchi
Fonte: Calciomercato.com

A ventiquattro ore dalla super sfida di Champions League tra Real Madrid e PSG, Thiago Motta si è concesso in una lunga intervista ai microfoni di France Football, ritornando anche sulla sua esperienza con la maglia dell'Inter e la vittoria contro il Bayern Monaco nella finale del 2010.

Secondo te potrebbe essere un’opzione adattarsi al gioco dell’avversario? 
“No. Serve che il tuo gioco corrisponda alla tua identità. Quando giocavo all’Inter e siamo andati a giocare la semifinale di Champions a Barcellona nel 2010 il nostro modo di giocare è stato quello di stare in undici nella nostra metà campo e poi provare ad attaccare in contropiede. Questo non è il gioco del PSG. Ma questo non vuol dire che bisogna partire all’attacco, come dei pazzi in avanti. Bisogna trovare l’equilibrio. Ma per qualificarci dovremo essere il PSG, tutto qua”. 

Alla fine l’Inter ha vinto i titoli grazie alla difesa?
“All’Inter la difesa era composta da undici persone. Samuel e Lucio sono stati degli ottimi difensori, uno meglio dell’altro, ma anche Eto’o e Milito sapevano difendere. Da qualche parte è stato obbligatorio perché è stata la nostra idea di calcio all’Inter. Questa è la cosa importante, restare fedeli alla propria identità e giocare con quella senza rinnegare se stessi. Al PSG siamo abituati a giocare in attacco”.

Il ruolo dell’allenatore è fondamentale per creare alchimia? 
“Sì, in questo Mourinho è stato fondamentale. Aveva una tale personalità… Alcuni dei nostri giocatori, non avevano questa personalità. Ma lui ce l’ha trasmessa, dopo ognuno lavorava sulle sue idee”.

È più difficile avere fame di vittorie, quando hai vinto tutto come ha fatto il Real nelle ultime due stagioni? 
“Io penso di sì, è una cosa normale. Io ci sono passato con il Barcellona e con l’Inter”.

Hai vinto due volte la Champions con Barcellona (2006) e Inter (2010), senza mai giocare la finale. È frustrante?
“Nel 2006 ero in panchina e non sono mai entrato in campo. Nel 2010 ero squalificato a causa di un cartellino rosso preso a Barcellona. Sarei contento di giocarne una, ma non è un’ossessione, l’importante è vincere”.

La differenza tra Neymar e Ibrahimovic?
“Neymar ha portato il club su un altro livello, bisogna rendersi conto che è un giocatore enorme con grande capacità di dribblare. Chiede sempre di avere il pallone, un po’ come Ibra del resto. Sono due giocatori complementari”.


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