.

Zanetti: "L'Inter una famiglia, per sabato dita incrociate. Futuro? Tra 10 anni mi vedo sempre così"

di Raffaele Caruso

Lunga intervista rilasciata da Javier Zanetti ai microfoni del Corriere della Sera, a pochi giorni dalla finalissima di Champions League in programma il 10 giugno a Istanbul tra Manchester City e Inter. Il vicepresidente nerazzurro ha parlato della sua infanzia e del suo investimento nella ristorazione a Milano con tre attività aperte. "Mio padre faceva il muratore. Da ragazzino l’aiutavo. Se non fossi diventato calciatore, proprio grazie a papà e a uno zio che hanno ricavato un campetto da calcio nel quartiere dove abitavamo, per evitare che giocassimo in strada, avrei continuato a lavorare con lui. Costruire mi piace - le sue parole -. La mia infanzia profuma di asado. Mamma era argentina, ma lo preparava papà, di origini italiane. Da noi sono gli uomini che si dedicano a questo rito che fa stare bene assieme. Cucinare l’asado insegna la pazienza, la dedizione, non è un semplice piatto. Lo so fare anch’io, ho imparato guardando papà mentre girava e guarniva la carne accanto al fuoco della brace, chiacchierando con gli amici. Che argentino sarei, sennò".

"Il leader deve dare l’esempio, il segreto è tutto qui, in campo o in un ristorante. Contano solo i fatti. Non puoi predicare il senso del dovere e presentarti al lavoro per ultimo. Certo bisogna scegliersi le persone giuste, creare un gruppo coeso, una grande squadra. Direi che ci sono riuscito - ha aggiunto Zanetti -. Cosa ha di speciale la mia città adottiva? È una città che è cresciuta tanto da quando, nel 1995, sono venuto qui per giocare. Abito a Como, ma amo Milano, mi fa sentire vivo. A passeggio tra Duomo, la Scala, San Babila sento l’adrenalina, come quando la squadra segna un gol. Ho deciso di investire nella ristorazione perché mancava, fino a qualche anno fa, il profumo della carne arrostita che a Buenos Aires senti a ogni angolo. Così ho cominciato con El Gaucho, un posto per gli argentini, il nostro quartier generale dove ritrovarsi tra amici. Poi è arrivato El Botinero e, da qualche settimana, El Patio del Gaucho, decentrato, in una location molto bella, formata da tante terrazze. Mi piace vedere la gente che si diverte nei miei locali, posti non formali, vivaci pezzetti di Argentina".

"Sembra banale, ma ho grande predilezione per il risotto alla milanese. Al Botinero lo fanno speciale come piace a me, si chiama Risotto Pupi, classico allo zafferano, ma arricchito con ragù di entrana di vitello. E mi viene in mente un posto a Como, che si chiamava l’Angolo del Silenzio, ma non c’è più. Facevano il risotto dentro la forma di Parmigiano Reggiano, se ci penso mi viene l’acquolina in bocca- continua Zanetti -. In una grande città ci devono essere ristoranti per carnivori e per chi ama il pesce e le verdure. I miei locali non sono banalmente basati sulla carne, che scegliamo di prima qualità e da allevamenti non intensivi, ma raccontano lo spirito argentino. Calcio e dieta? Ho vissuto anch’io il rapporto di odio e amore con il cibo. Cercavo sempre di mangiare sano, facendo sempre più attività sportiva nel caso di qualche trasgressione. Ma una dieta sana non vuole dire cucina mediocre, anzi. La sfida è mangiare bene in modo calibrato». 

"La ristorazione come aiuto per la Fondazione Pupi? Senz’altro, con cene e feste nei nostri ristoranti raccogliamo fondi da destinare ai più fragili. Focus i bambini in difficoltà, i più deboli. Sono il nostro futuro. Voglio aiutarli a realizzare i loro sogni. Anch’io ne avevo uno e per fortuna ho potuto realizzarlo - ha concluso -. Con la Fondazione Pupi stiamo dando il nostro contributo, ma credo che il potere immenso di questo sport potrebbe fare di più per i giovani. Andrebbero moltiplicati progetti in tutto il mondo per educare le nuove generazioni a un calcio più onesto. Dove mi vedo tra 10 anni? Sempre qui, a fare il mio lavoro, tra calcio, ristoranti e attività nel sociale. Non vedo perché mai dovrei cambiare prospettiva. L’Inter? L’Inter per me è come una famiglia. Non abbiamo parlato di carne? Bene, le dirò, facciamo spesso delle grigliate tutti insieme. Ma adesso, dita incrociate".


Marotta: "La finale, in primis, è merito di Inzaghi"
Altre notizie