Casarin: "Il calcio senza tifosi è una pena, anche l'arbitro ne risente. La Var? Semplifica le cose"
Fonte: Gazzetta dello Sport
L'ex arbitro Paolo Casarin, intervistato dalla Gazzetta dello Sport, ha parlato del ritorno in campo dal punto di vista dei fischietti.
Ora si torna in campo in un mondo sostanzialmente capovolto, cosa significa per un arbitro dirigere una gara in uno stadio vuoto?
"È una cosa che fa pena: un arbitro vero partecipa molto a una partita e una partita a porte chiuse è per forza diversa. Poi anche l’arbitro è estremamente vanitoso, ambizioso, vuole fare vedere che è bravo. se non ha nessuno che lo guarda cambiano le cose anche per lui".
In cosa?
"Beh, anche il fischio del pubblico all’arbitro è come una sfida: il direttore di gara può mostrare di aver visto qualcosa che agli altri è sfuggito. Il gioco è una forma di invito a dare tutto se stesso, anche per il servitore del gioco, e il pubblico fischiando tiene il gioco sul binario, ti tiene vivo e in regola. Non vuol dire che il calcio così sia morto, ma sicuramente scade".
Si torna in campo con proteste vietate, distanze di sicurezza imposte. Di fatto un rafforzativo di regole spesso ignorate. Cambierà qualcosa?
"Non so, il nervosismo nei confronti dell’arbitro è un fattore che non credo possa scomparire da un momento all’altro, non è che il virus rende tutti più buoni".
La Var è ormai una certezza, ma non si può dire che sia perfetta, per questo si continua a cambiare e ad aggiustare. Quando ci si deve fermare?
"Il problema non è la tecnologia ma le persone che devono lavorare insieme l’arbitro in campo e quello al monitor. “L’arbitro in campo deve decidere” si dice. Ma su, l’altro lo aiuta, è suo amico: lui perde qualcosa? No, ne acquista la partita. In un tempo in cui si mette in dubbio tutto, come si fa ad accettare che una partita sia involontariamente falsata da un bravo arbitro quando abbiamo lì la soluzione? Il Var non ti invita a complicare le cose, ma a semplificare. Non cresciamo sulla pignoleria, ma sulla regolarità".