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Da Messi a Berlinguer, Adani: "Niente finale RAI? Non era previsto. L'Uruguay è il miracolo del calcio"

di Alessandro Cavasinni
Fonte: Corriere della Sera

Nel giorno della finalissima dei Mondiali, il Corriere della Sera ha intervistato Daniele Adani, protagonista di questa rassegna iridata tanto quanto i giocatori in campo.

Adani poeta: «Messi dona amore, dribbla anche i cammelli del deserto...».
"Ha fatto di più: per preparare l’assist del 3-0, ha portato a spasso lungo tutta la fascia il più forte difensore dei Mondiali, Josko Gvardiol. Ha fatto una giocata di forza, non da Messi. In quel momento c’era Maradona in lui".

Adani profeta: «E Diego disse: dopo di me verrà un altro numero 10...».
"Da due anni, da quando è morto, non c’è giorno che io non pensi a Maradona".

I telespettatori protestano.
"I telespettatori vogliono emozioni".

La Rai non le farà commentare la finale dei Mondiali.
"Mi hanno insegnato che quando il mister ti manda in panchina non si chiede mai perché".

La finalina per il terzo posto non è da Adani.
"Non era previsto che commentassi la finale. Ho fatto 14 telecronache. Un’esperienza stupenda; già mi manca".

Fabio Caressa le ricorda che un conto è commentare per gli appassionati di Sky, un altro per il pubblico generalista.
"L’ho sentito dire anche in Rai. Ma pure il pubblico generalista è appassionato di calcio. Legga i messaggi che ricevo. Decine al giorno. Mi scrivono per ringraziare, commentare, chiedere aiuto...".

Aldo Grasso l’ha difesa.
"Mi ha fatto molto piacere. Ma io non cerco il consenso. Cerco il dissenso. Quando hai dieci milioni di persone davanti al video, devi trasmettere loro qualcosa".

Qual è il segreto del calcio?
"Il legame tra quel che senti guardando i campioni, e quel che senti giocando per strada".

Lei ha iniziato nella Sammartinese.
"E ho finito nella Sammartinese. Il più clamoroso dei salti all’indietro: dieci divisioni, dalla serie A alla seconda categoria. Avevo 34 anni, offerte dall’estero. Ma volevo tornare a casa".

Dove?
"San Martino in Rio, Reggio Emilia. Famiglia contadina. Di sinistra: il mito era Berlinguer".

Chi è stato il più grande di tutti i tempi?
"Messi da diciotto anni ha una continuità non umana. Però ogni generazione ha il suo eroe. Per me il più grande è stato Maradona. Ma Guardiola indica la statua di Cruijff e dice: dobbiamo tutto a lui. Secondo El Flaco Menotti il più grande calciatore della storia è Pelè: “El Negro es otra cosa...”".

E tra gli italiani?
"Io dico Baggio. Poi Pirlo. Mio padre dice Rivera".

L’attaccante più forte con cui lei abbia mai giocato?
"Ronaldo Luis Nazario da Lima: faceva cose che non si erano mai viste fare a nessuno. Poi Batistuta. L’ho incontrato qui l’altro giorno, in un parcheggio. Ci siamo abbracciati. Aveva le caviglie a pezzi. Ora sta meglio, ha ripreso a camminare. Il calcio è anche sofferenza".

Cosa diavolo è la garra charrua?
"È l’artiglio degli indios. È la rabbia con cui i nativi si difesero dagli invasori. Non si capisce il calcio sudamericano se non si coglie quel senso di ribellione che viene da dentro, che non accetta un No come risposta. È una passione al bordo della follia".

La sua passione è l’Uruguay.
"È una delle due grandi passioni della mia vita".

Perché proprio l’Uruguay?
"Perché è il miracolo del calcio. Tre milioni di abitanti, due Mondiali, due Olimpiadi, quindici Coppe America, quasi il doppio del Brasile. L’uruguagio dà il meglio quando è debole, sopraffatto, soverchiato. L’uruguagio è l’uomo a terra che si rialza. Tutti abbiamo dentro una scintilla del suo spirito. Quando la notte non riesco a dormire, penso al Capitan, lo vedo al Maracanà...".

Cosa rimprovera ad Allegri?
"Non si è evoluto. Lo farà, ne sono certo. Per ora, non mi piace come gioca e non mi piace come parla. Corto muso... Allegri non ha capito che il calcio contemporaneo deve dare emozioni".

Ma il mito del possesso palla è finito.
"Il possesso è un mezzo, non un fine. Conta pressare, avanzare, calciare in porta".

Davvero lei ha fatto ritrovare un ragazzo fuggito di casa?
"Vigilia di Inter-Juve, semifinale della Coppa Italia 2004. Un giornalista mi chiede di lanciare un appello per un padre di Brescia, disperato: il figlio, Francesco, non si trova più. Mi dicono che non si può. Così scrivo un messaggio sulla canottiera sotto la maglia. E penso: se segno, la faccio vedere. La Juve sta vincendo 2 a 1 a San Siro. Fuga di Stankovic sulla sinistra, cross, Emre che è piccolissimo la prende di testa, il portiere devia, io metto il piede, la palla entra. Corro verso centrocampo e mostro la scritta: “Francesco torna”. Il giorno dopo, Francesco tornò. In un bar di Genova, a guardare la partita. Crisi d’adolescenza; superata. Siamo rimasti in contatto, mi ha scritto l’altro giorno".

Pronostico per la finale?
"La favorita è la Francia: 55 a 45. Ma preghiamo il dio del calcio perché ponga una mano sulla testa di Leo Messi".


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