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Dalla Masia alla 9 nerazzurra, Condò racconta Icardi: "Nessun feeling col Barça, Mauro come Mourinho. Corrette le definizioni di Adani e Capello"

di Alessandro Cavasinni
Fonte: Gazzetta dello Sport

Lungo racconto di Paolo Condò, che sulla Gazzetta dello Sport ripercorre le tappe della carriera di Mauro Icardi. Dai primi passi nella Masia del Barcellona fino a oggi. Ecco qualche stralcio.

Un ragazzino sempre sicuro - A colpire negativamente è la reazione piccata alla richiesta, da parte degli allenatori, di limitare le spedizioni di materiale dall’Adidas, che riempie di omaggi il ragazzo-goleador annaffiando evidentemente la mala pianta dell’invidia nello spogliatoio del Barça giovanile. Manca la controprova: non sappiamo se a Leo Messi – certamente oggetto di analoghe attenzioni qualche anno prima – sia stato posto lo stesso problema, e come abbia reagito. In ogni caso, citando testualmente il libro, Icardi ribatte a muso duro «se vi danno fastidio i pacchi che ricevo non so che farci, peggio per voi, non me ne frega nulla». Non un buon modo per relazionarsi ovunque, figuriamoci nel Barcellona.

Niente feeling con il Camp Nou - La predilezione della scuola catalana per i «nanetti» e il loro stile di gioco – fatale persino a una star come Ibrahimovic – lo relegava di frequente tra le riserve. E infatti il Barça, pur alzando qualche barricata d’ufficio, in realtà fa poco per non lasciarselo scippare dalla Serie A. Icardi al Camp Nou c’entrava poco.

Mauro come Mou, il finale è simile - Appena esonerato dal Chelsea e qualche settimana prima di firmare per l’Inter, Mourinho ha un abboccamento con settori della dirigenza blaugrana per ottenere la panchina del dopo-Rijkaard. È l’intervento diretto di Cruijff, memore delle riserve di Van Gaal, a bloccare l’operazione convincendo il presidente Laporta a promuovere Guardiola dal Barça B. Il resto è storia, compresa ovviamente la stagione perfetta del Triplete interista nella quale Mourinho, in semifinale di Champions, si prese una grande rivincita su chi l’aveva rifiutato in quanto apostata. 

Il posto da titolare è di sua proprietà - Dopo la prima stagione, il crescendo è rossiniano, anche perché il suo posto da titolare è sempre più blindato: 22 reti fra Mazzarri e Mancini (Inter ottava), 16 nella stagione del solo Mancio (Inter quarta), 24 nell’incubo che va da De Boer a Pioli e a Vecchi (Inter settima), 29 nella prima stagione di Spalletti (Inter quarta), 7 in questo primo scorcio di campionato (Inter terza). Sono quasi tutti gol da area di rigore, per vedere un capolavoro da fuori dovremo aspettare la sua prima partita di Champions, col ciclonico destro al volo che aggancia il Tottenham spalancando le porte al colpo finale di Vecino. 

Un numero 9 che pensa al gol - L’ha definito bene Daniele Adani, «un attaccante atipico perché fa le cose che erano tipiche un tempo». «Il centravanti ideale, ho grandissima stima per lui» chiosa spesso Fabio Capello. Torna in mente un insegnamento di Cesare Maldini: «Il calcio è un pendolo, ciò che è moderno oggi diventerà arcaico domani e, con le dovute rielaborazioni, tornerà modernissimo dopodomani».

Il doppio desiderio - Al centro del dibattito, Icardi continua a segnare gol decisivi con la naturale cattiveria del cacciatore di taglie. Se è vero che l’Inter ha scommesso forte su di lui, è altrettanto vero che lui ha scommesso ancora più forte sull’Inter: segnare più di 20 gol a stagione in una squadra che quando va bene arriva in Europa League è un invito a farsi avanti ad altri grandi club europei. Wanda è stata certamente abile a monetizzare questa possibilità, ma il linguaggio del corpo, delle foto postate sui social, delle mezze frasi che si possono dire o non dire, ha sempre portato alla conclusione che Icardi non desideri altro che l’Inter. E questo è sempre il miglior campo base dal quale attaccare la cima.

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