CdS - Conte ritrova l'Inter: determinante per gli scudetti (e pure per la finale di Champions)
Fonte: Corriere dello Sport
Era il 26 maggio 2021, pochi giorni dopo il 19esimo scudetto, quando l'Inter e Antonio Conte si separarono con una risoluzione consensuale del contratto. Conte rimase due anni a Milano: un biennio di crescita, culminato con il successo tricolore. Tante soddisfazioni, ma anche un perenne stato d'agitazione che portò il tecnico salentino vicino all'addio già dopo il primo anno, culminato con il secondo posto in campionato e la finale persa di Europa League.
"Strappi costruttivi, direbbero gli psicologi di coppia. Per spingere il club a un livello superiore. In fondo era nei patti - ricorda il Corsport -. Conte, emblema dell’odiata Juventus, fu chiamato all’Inter proprio per porre fine all’oltraggioso dominio bianconero (otto scudetti di fila, poi diventati nove). Per cercare di trasferire nel Dna del club la feroce determinazione che conduce alle vittorie. Per far attecchire un metodo di lavoro. Quel metodo che qualcuno definisce ossessivo. Dimenticando che senza l’ossessione i propri limiti non si superano".
"Due anni vissuti ad altissima intensità. Due anni che hanno lasciato un segno profondo, ancora visibile. Conte ha rivoltato l’Inter come un calzino. Persino l’inno ha cambiato. Quel “pazza Inter” non era di suo gradimento. Lo disse il primo giorno. «La mia Inter non sarà pazza, ma regolare e forte. Vogliamo ritornare ai fasti di un tempo». L’inno fu cambiato. A Napoli, recentemente, ha lanciato una frecciata che non è passata inosservata: «Anche all’Inter, quando arrivai, Appiano Gentile era un disastro, abbiamo lavorato molto sui campi, sulla foresteria, ora è un fiore all’occhiello». In questa frase c’è tutta la distanza tra sé e il club", sottolinea il quotidiano romano.
"I tifosi sono divisi, non proprio equamente. Da un lato quelli che lo hanno accusato di aver abbandonato la nave alle prime difficoltà finanziarie, di non essersi voluto scorciare le maniche e lavorare in ristrettezze. Insomma un traditore. O uno juventino: è lo stesso per buona parte dell’ambiente interista. Anche Moratti parlò di scarso attaccamento (poi Conte disse che i due si erano chiariti). Dall’altra parte, oggi minoranza, quelli che gli hanno invece riconosciuto che senza di lui l’Inter non avrebbe mai vinto né il primo né il secondo scudetto (quello con Inzaghi). E nemmeno in finale di Champions sarebbe arrivata. Perché senza di lui la ricostruzione sarebbe stata molto più complessa, per non dire impossibile. Nella frase «posso solo dire che il mio progetto non è mai cambiato» c’è un misto di delusione e risentimento da parte di chi si era gettato a capofitto nell’universo Inter e ha poi dovuto prendere atto che le regole del gioco erano cambiate. I contabili del tifo possono sbandierare che per Conte l’Inter ha speso più che per Inzaghi. Lui risponderebbe che ha fatto spendere ma anche incassare (vedi cessioni di Lukaku e Hakimi)". E domenica le strade dell'Inter e di Conte torneranno ad incrociarsi per la prima volta dopo la separazione.
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