La virologa Gismondo: "Il Covid-19 non è la peste nera, a inizio estate dovremmo esserne fuori. Calciatori più esposti al contagio"
Fonte: Corriere dello Sport
Il mondo del calcio si interroga dopo l'arrivo - inevitabile - dei primi casi di positività anche in Serie A. La virologa Maria Rita Gismondo, università statale di Milano, direttrice della Microbiologia Clinica, Virologia e Bio-emergenze dell’ospedale, polo universitario, Sacco di Milano, intervistata dal Corriere dello Sport, prova a fornire risposte. "Non voglio sminuire il coronavirus ma i problemi che porta rimangono appena superiori all’influenza stagionale", dice.
E ora che i numeri sono arrivati a 10.600 i casi positivi e 830 i morti la Gismondo resta sulla sua posizione?
"Sì, non ho cambiato idea. Anche perché non ho mai sottovalutato questo nuovo virus sconosciuto, ma non è certo la peste nera manzoniana. Non possiamo guardare i numeri del giorno e farne un’estrapolazione per fare una descrizione del fenomeno intero. Siamo liberi da un virus quando è trascorso il periodo massimo di quarantena, in questo caso 15 giorni, dall’ultimo caso positivo. Dobbiamo osservare questo lungo periodo e poi magari tirare un sospiro di sollievo. E comunque a livello di malattie infettive c’è di peggio, sia in termini di diffusione sia in termini di letalità. Il concetto è che non possiamo gridare alla peste nera. Ma è più letale, dicono. Sì, ma sui casi confermati, che potrebbero essere molti di meno dei casi reali. Il 60-70% degli italiani potrebbe essere venuta a contatto con il virus e il 90% di questi senza sintomi. Possono essere stati positivi senza saperlo e senza sentire il bisogno di fare un tampone. Così potrebbero avere inconsapevolmente infettato altri".
Come è partito il contagio nel nostro Paese?
"Il contagio da Covid-19 in Italia è partito da un ospedale, quello di Codogno, dove un paziente con il nuovo coronavirus è stato ricoverato senza che fosse chiara la causa della sua patologia respiratoria. Lì è avvenuta la disseminazione di tanti contagi contemporanei. Di qui la differenza tra la Lombardia e il resto d’Italia, tra l’Italia e altri Paesi. Poi c’è il fatto che da noi poi i test si fanno a tappeto, a carico del servizio sanitario. Negli Stati Uniti per esempio sono a carico dei privati, al costo di 3.300 dollari, in parte rimborsati dalle assicurazioni ma nella maggior parte dei casi a carico del sospetto infettato. E chi vuole spendere 3.300 dollari per un tampone? Di qui falle nei controlli e numero di casi confermati basso".
Quindi, se ho capito bene, nel nostro Paese il virus si sarebbe diffuso in modo silente almeno dall’inizio di gennaio?
"Si. E come ho detto è plausibile supporre che molti casi di polmonite verificatisi in Italia e nella zona del Basso Lodigiano già dopo Natale possano essere contagi concreti da Covid-19. Già a fine dicembre noi abbiamo iniziato a lavorare sulla base di strane polmoniti cinesi segnalate dall’Oms. In quel momento avevamo sintomi influenzali simili al Covid-19, per di più concentrati in un picco stagionale normale".
Tornando ai calciatori risultati positivi, gli atleti sono più esposti al contagio?
"Sì, sia per una sorta di momentanea depressione immunitaria conseguente a uno sforzo fisico intenso sia perché poi sono a contatto come avviene negli spogliatoi dove il caldo umido ambientale favorisce la persistenza delle goccioline di tosse o starnuti nell’aria e nell’ambiente. Di conseguenza se c’è un soggetto infettato ma senza sintomi diventa facile fonte di contagio. Quindi quarantena obbligata per le due squadre ma anche per i familiari di chi risulta positivo".
E la fine dell’emergenza, la fine della paura?
"Se tutto va come previsto all’inizio dell’estate dovremmo esserne fuori".