Razzismo, Zoro: "In 15 anni non è cambiato nulla per colpa di Stato e Federcalcio. Ricordo le scuse di Facchetti"
Fonte: Gazzetta dello Sport
Era il 27 novembre 2005 quando, al 21' del secondo tempo di Messina-Inter, Marco André Zoro, difensore ivoriano dei siciliani, fermò il gioco, prese il pallone in mano e decise di dire basta. Non sopportava più quei buu provenienti dal settore ospite. Purtroppo, a distanza di anni, il tema resta ancora d'attualità. Alla Gazzetta dello Sport, lo stesso Zoro ne ha parlato oggi.
Zoro, non è cambiato nulla. Koulibaly, Kean, Kessie, Kondogbia, Lukaku...
"Sono felice di come ha parlato Infantino, senza peli sulla lingua, in una occasione così importante. E lo ringrazio. Forse questa denuncia servirà finalmente a smuovere qualcosa, perché in 15 anni in Italia non è cambiato nulla, per colpa dello Stato e della Federcalcio che non hanno lottato come avrebbero dovuto contro il razzismo".
Gli ululati razzisti sfuggono spesso agli arbitri e non entrano nei referti arbitrali.
"Perché di razzismo non si deve parlare e allora si chiudono gli occhi e le orecchie. Ma più si chiudono le orecchie e gli occhi, più la gente ne parla, perché gli italiani non sono razzisti. Io ho fatto esperienza e ricordo un popolo fantastico e caloroso. Il problema sono gli esempi e l’educazione. Dal livello più alto al più basso serve intransigenza contro il razzismo. Se un ministro della Repubblica, come la Kyenge, viene definita scimmia da un collega politico, diventa più difficile combattere il razzismo negli stadi".
I club minimizzano: «Solo 4 stupidi». Agli allenatori si chiede del razzismo e rispondono parlando di insulti.
"I quattro stupidi poi diventano mille. Gli insulti per provocare o disturbare l’avversario sono una cosa, il razzismo un’altra. Se per colpire un uomo, io attacco il colore della sua pelle, sono razzista e basta".
Cosa le è rimasto dell’episodio di Messina-Inter?
"Il ricordo di tanta solidarietà: Adriano e i giocatori in campo, il dirigente Facchetti che chiese scusa a nome dell’Inter, i messaggi, le telefonate, i fax che mi travolsero nei giorni successivi... Ma accanto al ricordo di tanto affetto, c’è altrettanta amarezza e delusione: dopo 15 anni in Italia è rimasto tutto uguale. Il mio caso non è servito a nulla".
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