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Armando Picchi, capitano e libero. Libero da tutto

di Redazione FcInterNews.it

Tra i grandi meriti di Helenio Herrera, vero e proprio rivoluzionario del pallone, si deve ricordare l'aver reinventato Armando Picchi nella posizione di libero battitore. Il Mago lo riscoprì come perno della difesa dopo una vita da girovago del campo da gioco. Picchi, ai tempi delle giovanili del Livorno, aveva infatti giocato come attaccante prima e come centromediano poi. Col passare degli anni aveva quindi messo radici sulla fascia destra e Angelo Moratti l'aveva acquistato nel '60 proprio come terzino dalla Spal. Herrera, approdato sotto la Madonnina nello stesso anno di Armandino, così chiamato dagli amici di sempre, quelli con cui trascorreva le vacanze ai "Bagni Fiume" di Livorno, ha il compito, nemmeno troppo celato, di portare i nerazzurri sul tetto d'Europa. Il tecnico argentino vuole da subito dare la propria impronta alla squadra stravolgendo l'ambiente, il che gli costa due stagioni piene di difficoltà e senza alcun trofeo.

Alla fine della stagione '61-'62 arriva l'intuizione che cambia la storia nerazzurra: "Picchi, prova a giocare come libero!". La grandezza di questa scoperta trova facile riscontro nelle prestazioni di Picchi che diviene in poco tempo uno dei massimi interpreti del ruolo. "Nel calcio, battitore libero (o semplicemente libero), è il giocatore della difesa che, schierato alle spalle del centromediano, ha il compito di ostacolare l’avversario che raggiunge l’area di rigore e di rilanciare il pallone verso la propria linea d’attacco". L'Enciclopedia Treccani spiega così il ruolo del libero che, in pratica, doveva avere una straripante personalità, doveva saper leggere ogni seconda palla e ogni movimento dell'attaccante in anticipo: doveva essere un muro invalicabile.

Picchi è approdato in nerazzurro a 25 anni, nel pieno della sua maturazione calcistica. Nel 64' Bolchi viene ceduto al Verona: l'Inter ha bisogno di un nuovo capitano. Herrera ha creato un buon mix di giovani e veterani plasmando la compagine che passerà alla storia. Nel '64 l'Inter morattiana è un gruppo solido e competitivo, trascinato da senatori dal carattere forte, così forte da essere leggermente indigesto al Mago, che malsopporta le persone ostinate e decise, proprio come lui. Picchi è un punto di riferimento per la squadra e non può che essere lui il successore di Bolchi. La fascia attorno al braccio sinistro non fa altro che sottoscrivere una leadership consolidata nei primi tre anni in nerazzurro. Picchi è libero, non solo per la posizione in campo. Il suo modo di porsi urta Herrera, che ad ogni sessione di mercato lo inserisce al primo posto nella lista dei partenti.

Moratti stravede per il Mago e fa sempre il possibile per accontentarlo, ma su Picchi pone un chiaro veto: non si muove. Il Capitano porta l'Inter sul tetto d'Italia, d'Europa e del mondo, diventando un esempio vivente di come debba essere interpretato il ruolo di libero battitore. Eppure, nonostante la grandezza del personaggio, qualcosa non va e la stagione '66-'67 è emblematica della fine di un'epoca. I nerazzurri perdono la finale di Coppa dei Campioni contro il Celtic e si lasciano scappare il campionato all'ultima giornata. Sembra che la Grande Inter sia giunta a un punto morto. A fine stagione, dopo aver deglutito l'amaro boccone, Herrera consegna a Moratti la consueta lista dei partenti. Questa volta però pone un diktat al presidente: o Picchi o me. Per Moratti è come dover scegliere tra due figli, prendendo una decisione contro natura e illogica. Nonostante la scomodità della richiesta del Mago, Moratti acconsente e Armandino viene ceduto al Varese.

Dopo tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali il capitano saluta un commosso Moratti e i contrariati compagni di squadra. Non si cerchi però una qualche giustificazione anagrafica! Nel 1967 Picchi ha 32 anni, non più di quanti ne avesse avuti il giorno in cui era sbarcato a Milano. Già, è come se fosse non fosse mai invecchiato e fosse da sempre un distinto signore che conosce il mondo e gli uomini, sa come porsi nei confronti della vita e vive semplicemente per essere libero. Non nasconde la delusione per la scelta di un Herrera, a suo modo di vedere, irriconoscente nei confronti dei calciatori che lo avevano consacrato nell'Olimpo degli allenatori.

Al Varese continua a giocare con la consueta personalità ed efficacia, riprendendosi anche la nazionale. Valcareggi lo convoca per l'andata dei quarti di finale degli Europei. Il 6 aprile '68 a Sofia, contro la Bulgaria, un gravissimo incidente di gioco schianta i suoi sogni messicani. La diagnosi è impietosa e parla di frattura del tubercolo sinistro del bacino. Picchi deve dire addio al Mondiale del '70, appendere le scarpe al chiodo e decidere cosa fare della propria vita. Accetta la panchina del Varese calandosi con la consueta serietà e il solito carisma nel nuovo ruolo. Nel '69 scende in Serie B subentrando ad Aldo Pulcinelli per salvare il suo Livorno dalla retrocessione. Allena la compagine toscana per una sola stagione portandola ad una tranquilla salvezza.

Italo Allodi, ex dirigente dell'Inter e grande estimatore di Picchi, segue con molta attenzione il campionato del Livorno e insieme a Giampiero Boniperti, suo collega nella dirigenza juventina, offre ad Armando la panchina bianconera. L'intuizione è azzeccatissima: il nuovo tecnico lancia campioni del calibro di Capello, Bettega e Causio portando la squadra ai quarti di finale di Coppa delle Fiere. Il 7 febbraio 1971 la Vecchia Signora cade a Bologna e Picchi viene espulso per proteste. Conscio di aver esagerato, abbandona il campo con la consueta signorilità, senza sapere però che non potrà mai più guidare la sua squadra dalla panchina.

Un mese prima aveva avvertito un forte dolore alla schiena durante la partita contro la Lazio, presagio di un male che lo avrebbe distrutto nei mesi successivi. La malattia degenera nel giro di poche settimane. Picchi muore alle ore 16 del 26 maggio 1971 nella casa di Sanremo dove si era da poco trasferito con la moglie e i due figli. Aveva 36 anni. Poche ore dopo viene giocata la finale di Coppa delle Fiere tra Juventus e Leeds United. La partita finisce 0-0 ed è dominata da un'incessante pioggia, triste saluto di un cielo in lutto per la morte di un uomo libero, libero da tutto.

Davide Zanelli
 


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