"Secondo me in Champions abbiamo fatto delle buone partite. L'anno scorso ci siamo qualificati quando tutti ci davano per spacciati. Contava solo quella e racconta una storia diversa. Siamo stati anche capaci di portarlo a casa quel risultato". Con queste parole, una trentina di ore prima del derby della Madonnina contro il Milan, Luciano Spalletti rispondeva a chi accusava la sua squadra di mancare - più in Europa che in Italia - della giusta dose di grinta e convinzione nelle partite da dentro o fuori.
Ed in effetti, negli aut-aut dal sapore europeo affrontati nell'ultima stagione, l'Inter è apparsa spesso insicura, presa tra la paura di sbagliare e la voglia di strafare. Dal k.o. a Londra contro il Tottenham, al pareggio beffa dell'11 dicembre scorso contro il Psv Eindhoven che valse l'eliminazione dalla Champions League, fino alla debacle giovedì scorso contro l'Eintracht Francoforte. In Europa i nerazzurri faticano a fare la voce grossa, ma d'altronde sarebbe anche difficile aspettarselo da una squadra che - seppur con una storia gloriosa alle spalle - mancava dai palcoscenici intercontinentali da 2 anni (ben 7 se parliamo di Champions).
A fronte di una dimensione europea ancora da trovare, la musica cambia parecchio se si guarda nel giardino di casa nostra. Qui vige da quasi due anni la 'legge Spalletti', il cui teorema è di semplice lettura: l'Inter non stecca praticamente mai negli scontri diretti. E' stato così l'anno scorso, al primo anno del corso dell'allenatore da Certaldo, che ha confermato il trend anche nel 2018/19. Perché chi si ricorda solo Lazio-Inter e l'incornata di Vecino, ha di che rinfrescarsi la memoria.
Nel campionato passato l'Inter indossava i panni di outsider. Eppure, da oggetto misterioso la squadra di Spalletti riuscì subito a farsi largo tra le rivali. Nello scontro epocale contro il proprio passato, in casa della Roma, Lucio riuscì nel rimontare lo svantaggio per poi vincere per 1-3. Mattatori in quella serata (profetica, verrebbe da dire) furono Icardi, autore di una doppietta, e Vecino, gli stessi che qualche mese dopo all'Olimpico regalarono un altro ribaltone storico ai tifosi nerazzurri. Sempre Maurito fu protagonista in un derby, il primo di Spalletti, vinto anch'esso 3-2, forse il più vicino per intensità ed equilibrio a quello giocato domenica. Una tripletta dell'allora capitano vanificò il gol di Suso e l'autorete di Handanovic. Gli 0-0 strappati sui campi di Napoli e Juventus e a San Siro contro la Lazio testimoniavano la capacità di soffrire nel portare a casa risultati importanti.
Nel girone di ritorno, come storicamente accade, l'Inter soffrì di qualche calo di tensione in più, dovuto la stagione scorsa anche ad un avvio di campionato comunque di altissimo livello. Arrivò il pari casalingo contro la Roma, rimontata sempre da Vecino. Altro pari (0-0) in casa contro il Napoli, che precede temporalmente (dopo il rinvio per il decesso di Astori) il pareggio a reti inviolate nel derby. Un tris di risultati a dimostrare il calo nerazzurro ma che mantenevano i nerazzurri in zona europea. Perché i passi falsi ci sono stati, ma mai contro le dirette concorrenti.
Un k.o. però arrivò, contro quella che alla fine (ed inevitabilmente, vista la disparità di valori in campo) rimane la bestia nera dello Spalletti in nerazzurro, ovvero la Juventus. In un derby d'Italia al cardiopalma, Higuain regalò ad Allegri un successo beffa per il popoli interista, che aveva assaporato la vittoria grazie alla rete di Icardi e all'autogol di Barzagli. Nel 3-2 bianconero di San Siro protagonisti anche Cuadrado - autore del momentaneo pari sul 2-2 - e Vecino, nell'occasione per un rosso che ancora fa discutere dalle parti di Corso Vittorio Emanuele. Il 2017-18, però, verrà ricordato per il re di tutti gli scontri diretti, per situazione, ambiente, clima ed in fondo anche per risultato finale. Il 2-3 contro la Lazio ottenuto all'ultimo respiro grazie alla palla 'presa da Vecino'. Una partita clou, perché l'Inter poteva solo vincere per agganciare la Lazio in classifica, ottenere una differenza reti migliore negli scontri diretti e balzare al quarto posto. Così fu, come ha ricordato in conferenza sabato Luciano da Certaldo, segno che l'Inter il match più dentro o fuori dei match da dentro o fuori (almeno per il campionato) l'ha portato a casa.
La legge Spalletti non sbiadisce neanche nel 2018-19, anzi. Dopo una partenza di campionato gentilmente definita difficoltosa, l'Inter arriva con i cannoni carichi al derby del 21 ottobre, primo scontro diretto. Un girone fa fu ancora Mauro Icardi il match-winner, ancora a tempo scaduto, a riconferma (oltre del suo feeling col gol contro il Diavolo) di come questa squadra nelle partite da vincere sa mantenersi concentrata 90' più recupero. Servì sempre Icardi, ma servì meno tensione agonistica, per sbarazzarsi della Lazio all'Olimpico: secco 3-0 firmato dalla doppietta di Maurito e dal gol di Brozovic.
Non ci sono sempre periodi d'oro però. Nella staffetta che in 9 giorni vide i nerazzurri giocarsi la stagione, l'Inter pareggia in casa della Roma in un rocambolesco 2-2, in cui i nerazzurri passati due volte in vantaggio (con Keita Baldé e Icardi) e due volte ripresi dai giallorossi. Dopo 5 giorni, fu la Juventus ha fermare la truppa di Spalletti: il colpo di testa di Mandzukic punì una squadra già con la testa alla partita (pareggiata amaramente) contro il Psv.
Il 26 dicembre, nel primo boxing day della storia del calcio italiano, ci fu la massima espressione del Torismo: il Napoli di Ancelotti è piegato al 90+1 da un gol da centravanti vero di Lautaro Martinez. Un match (poi ricordato per i cori razzisti a Koulibaly e la scomparsa del tifoso Daniele Belardinelli) che avrebbe potuto concedere ai nerazzurri qualche velleità per il secondo posto, prima che pausa, casi e calo fisico si portassero via queste speranze di altissima classifica.
La carrellata di big match ci porta dritti dritti al derby di domenica sera. Una partita che se vogliamo può essere emblematica sia dell'umoralità perenne della squadra nerazzurra, sia dell'efficacia costante della legge Spalletti. Perché dopo l'uscita difficile dall'Europa League contro l'Eintracht, in pochi avrebbero scommesso sull'Inter, apparsa scarica fisicamente e mentalmente. In 72 ore Spalletti ha fatto un lavoro di recupero con pochi precedenti nella sua gestione, ridando linfa e brio ad una squadra che di linfa e brio aveva disperatamente bisogno. Al resto ci hanno pensato Lautaro Martinez e Vecino, l'uomo delle partite importanti. Loro, più un De Vrij lontano parente di quello che contro i tedeschi ha regalato a Jovic la palla della vittoria, hanno steso la squadra di Gattuso, rimasta ancora alla partita grazie alle reti episodiche di Bakayoko e Musacchio. Una dimostrazione di forza che vale triplo. Primo, perché i nerazzurri mostrano i denti, tornano terzi e si rimettono dietro i cugini. Secondo, perché dopo la rovinosa debacle serviva la scossa, un segnale, ed è arrivato, eccome se è arrivato. Terzo, perché ora l'inerzia ha cambiato vento sul Naviglio, e spinge decisamente verso la sponda nerazzurra.
"Uomini forti, destini forti, uomini deboli, destini deboli, non c'è altra strada". Questo il monito di Spalletti fin dai tempi della Roma. Una frase che indica quale caparbietà e precisione voglia dai propri uomini nei momenti che possono cambiare le sorti di una annata intera. Lui ha a disposizione uomini forti, degni di destini forti, non ha mai nascosto di pensarlo. Ieri lo hanno dimostrato a tutta Italia, come da un anno e mezzo a questa parte. Ma strano che qualcuno si sia stupito: la 'legge Spalletti', d'altronde, non fallisce mai. O quasi.
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Autore: Federico Rana / Twitter: @FedericoRana1
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