Un evento si propone clamorosamente.
La prima reazione è la sorpresa 
La seconda è l’indignazione
La terza è la metabolizzazione 
La quarta è il dibattito, seguita dalle divisioni
La quinta è il rifiuto
La sesta è una parziale indifferenza, sfinita dall’evento senza fine e senza una direzione apparente
La settima è l’accettazione.
Se nel giugno 2018 qualcuno ci avesse detto che il principale dirigente bianconero e l’allenatore più juventino in circolazione, sarebbero arrivati all’Inter, decidendo di esautorare il capitano e mandarlo via ad ogni costo, tra l’acclamazione del pubblico nerazzurro, probabilmente per quel “qualcuno” avremmo invocato il ricovero coatto. Invece è tutto vero e in pochissimi mesi appare tutto perfettamente congruo, a dimostrazione di come l’uomo si adegui a tutto.
La vicenda ha preso una direzione tanto netta e violenta, tanto contrastata e ricca di segreti mai svelati pubblicamente, da aver diviso un pubblico nerazzurro dilaniato dalle modalità con le quali pretenderebbe un finale con il punto esclamativo. Gli interisti sono arrivati ad odiare, a provare un risentimento che va oltre la vicenda in se. Dall’altra parte c’è un tifo meno oltranzista e più disponibile ad un epilogo persino sorprendente, come la permanenza impossibile di Icardi. 
In questi mesi a creare i veri disagi è stata la comunicazione social e televisiva di Wanda Nara: naif, sprezzante, subliminale, mai diplomatica, negazionista, possibilista, contraddittoria, ridondante, volgare, ironica, sexy, narcisistica, compulsiva e soprattutto senza argini, se non quella che lei si è autoimposta.
La scelta dell’ex capitano, di restare nel silenzio, protetto da social e, come la moglie, foto evocative, indicative e criptiche, è stata invece profondamente immatura. Nell’occasione in cui ha difeso Wanda Nara e scritto una lettera in cui la testa per pensarla è sembrata non essere solo sua, in molti si sono chiesti perché in quattro mesi non sia stato in grado di formulare un pensiero usando il mezzo più diretto della televisione, del messaggio visivo in cui esprimeva più chiaramente il suo disagio. 
La confusione ha generato solo risentimento, anche se sono ignote le scaturigini e le dinamiche del conflitto e che Inter e Icardi hanno da almeno un anno.
Il vero mistero, quando manca poco all’inizio di luglio e al ritiro di Lugano, è come intenda risolvere la questione la società, al culmine di un inedito pugno duro mai registrato in modo tanto deciso e prolungato prima d’ora. 
L’altra questione è legata a San Siro. Mi ha fatto sensazione leggere sui social i commenti di giovani, non necessariamente tifosi, che liquidavano lo stadio con disprezzo “obsoleto” “che palle ma distruggete quella roba”, con l’aria arrogante di chi lo stadio lo ha vissuto in un’epoca in cui probabilmente San Siro è apparso meno romantico del passato. 
L’epoca dei parterre, con quel lungo corridoio che caratterizzava uno stadio con ancora solo il secondo anello. L’arrivo allo stadio anche quattro ore prima, aspettando la partita sistemando il cuscinetto (se te lo ricordavi) e nel frattempo aspettavi e parlavi col vicino dell’Inter e di altro. La partita era un evento che durava un’intera domenica (perché si giocava solo di domenica) e creava un rituale, un attaccamento quasi morboso e paradossalmente più sano verso la squadra e la sua casa. Era tutto più scomodo e ma, nel contempo, più sociale e aggregante di quanto possa fare oggi uno stadio in cui tanti arrivano giusto per il fischio d’inizio e vanno via cinque minuti prima. 
Sostengo da anni quanto sia indispensabile avere un impianto che viva nel corso della settimana, aumentando esponenzialmente i servizi e l’offerta. L’opportunità, a quanto pare c’è, solo se si costruisce un nuovo stadio.
L’idea concreta che ci si allinei al modello degli stadi europei più importanti va più che bene, specie se si riflette sul fatto che Inter e Milan guadagnano dall'impianto straordinariamente meno di Barcellona e Real Madrid, Manchester United, del Bayern Monaco e persino meno della Juventus che ha una capienza pari alla metà di San Siro.
Resto però dell’idea che cancellare il Meazza tra sette anni sia un gesto privo di senso.
A prescindere dai costi importanti per tenerlo in piedi. Uno sponsor, delle idee, qualunque cosa ma l’accettazione di San Siro abbattuto ancora non la trovo. 

Sezione: Editoriale / Data: Mer 26 giugno 2019 alle 00:05
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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