Dimissioni (non) rassegnate è il titolo che racchiude al meglio le ultime ore turbolente vissute da Luciano Spalletti. Il divorzio dall'Inter, per ora, si è consumato solo sulle pagine dei giornali, dove da mesi si sprecano fiumi di inchiostro per anticipare i titoli di coda sull'avventura milanese di Lucio, declassato ufficiosamente al ruolo di traghettatore che deve portare la nave in Champions per poi farsi da parte consegnando il timone ad Antonio Conte. Un compito ingrato, ingeneroso per un tecnico che ha permesso alla Beneamata di rivedere le stelle l'anno scorso ed è a tre punti dal replicare il viaggio-bis in Paradiso in questa stagione. Eppure, in base a quanto filtra, quella che sta per tramontare sarà verosimilmente la sua ultima annata in nerazzurro: un mandato di due anni, come era stato pattuito nel giugno 2017 prima del rinnovo fino al 2021 dello scorso agosto, che ai più maliziosi sembrerà la parentesi temporale necessaria di cui Suning ha avuto bisogno per uscire dal settlement agreement, ingaggiare Beppe Marotta e organizzare le nozze dorate con l'ex ct della Nazionale, promesso sposo già due estati fa.
Tutto torna, insomma, se visto attraverso gli occhi a mandorla di Steven Zhang: nelle valutazioni della proprietà, Spalletti è stato il migliore degli allenatori possibili finché Conte non ha spalancato le sue braccia per accogliere il progetto finalmente ambizioso dell'Inter. Senza voler sindacare sul probabile avvicendamento in panchina, è doveroso esprimersi sull'opportunità di dare il benservito all'allenatore in carica delegittimandolo a livello mediatico a pochi passi da un traguardo che è la condizione necessaria per costruire qualcosa di grande per il futuro. Facile, quindi, scorgere nell'umore di Spalletti un certo fastidio per la strategia comunicativa adottata dalla società, mai perentoria nel mettere a tacere le voci insistenti su Conte. Nell'ultima intervista rilasciata a Sky Sport, ad esempio, l'ad della parte sportiva ha spostato non casualmente il focus del discorso sui media definendoli di fatto un soggetto attivo in una vicenda che invece dovrebbe giocarsi solo su due tavoli, quello dell'allenatore e della dirigenza: "Credo che sia la nuova generazione della comunicazione, bisogna sostenere questo confronto dialettico che non è facile perché infastidisce. Abbiamo un obiettivo da raggiungere e ne siamo tutti consapevoli, il resto - anche se le spalle sono grandi per tutti - infastidisce. Non dico destabilizzi ma crea turbative da gestire nel migliore dei modi".
Una considerazione critica sul giornalismo e sulla macchina mediatica tutta che andrebbe approfondito e che trova la sponda di Spalletti, il quale aggiunge come al solito del suo alla discussione nella conferenza post Inter-Chievo: "Se una cosa la riportate tutti i giorni per tre mesi, c'è qualcuno che ve la dice o c’è una volontà di creare squilibri e destabilizzare – sottolinea in riferimento agli spifferi che poi si elevano allo status di notizia -. Qui succede da nove anni sempre la stessa cosa, si creano delle pressioni e qualcosa per strada si perde”. Inequivocabile, inoltre, il rimprovero di Spalletti ai cronisti per gli scivoloni nei quali sono caduti criticandolo sul personale: "Ora arrivano a fare offese ben precise: bollito, alla frutta... Queste sono offese, poi io mi difendo e difendo l'Inter, non sono nervoso”, ha aggiunto l'ex Roma parlando a Sky. Prima di reagire in maniera piccata alla domanda sulla sua presunta rassegnazione: "Non è vero, ecco le offese: questa è un’offesa per me. Dire la stessa cosa per tante volte non è qualità, è sparare nel mucchio, poi finisci che indovini. Il rassegnato sei tu, a me avanza roba per mettere a disposizione la mia determinazione. Hai qualche problema? Allora vienimi a parlare... Non ti vedo tranquillissimo, hai il musino un po' bianchino e smunto".
Chiosa sopra le righe a parte, con la non richiesta descrizione fisica e psicologica del collega autore del quesito, Spalletti ha voluto precisare di non aver neanche minimamente pensato a firmare la resa. Pur sapendo per esperienza che l'allenatore, come insegnano a Coverciano, viaggia sempre con la valigia in mano, a maggior ragione – aggiungiamo noi – quando varca i cancelli di Appiano Gentile: "Se metto in preventivo l’esonero? Fa parte del ruolo, in Italia l'allenatore è un mestiere precario e per certi versi è corretto perché una società come l’Inter deve scegliere il meglio per sé. Non dimentichiamoci però da dove siamo partiti". Questa è la lucida consapevolezza di un uomo di calcio che sa che l'aver compiuto al meglio la sua missione non regala la riconferma automatica in questo mondo irriconoscente. Si deve vivere alla giornata, come aveva fatto capire nel giorno zero del suo arrivo alla Pinetina: "Quella dell'Inter sarà una storia piena. Dobbiamo essere tutti ambiziosi, speriamo innanzitutto di vincere le partite. Per il futuro dipenderà da ciò che realizziamo qui e lo voglio vivere più intensamente possibile".
Insomma, c'è stata vita prima dell'Inter e ce ne sarà dopo l'Inter per Spalletti, che ora potrà presentarsi sul mercato con un curriculum anche migliore rispetto a due anni fa. Credenziali non sufficienti per il Biscione che, per l'ennesima volta della sua storia recente, decide che 'cambiare è meglio' non ascoltando l'appello pronunciato dall'attuale nocchiere cinque mesi fa: "Io non ce la faccio a essere Mourinho in due campionati: ho bisogno di più tempo per fare qualcosa”. E infatti la proposta messa sul tavolo per ingaggiare Conte è un triennale/quadriennale, primo passo verso un progetto duraturo almeno nelle intenzioni. La differenza di trattamento è tutta qui, ma la stampa questa volta non c'entra.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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