I cinque minuti che sconvolsero il mondo (nerazzurro), ce li siamo goduti tutti. Chi allo stadio, chi davanti alla Tv, chi ascoltando la radio, ci si è nutriti di quella girandola di emozioni che solo la Champions League sa regalare. Dopo sei anni interminabili, l'Inter si è riappropriata di quel mondo, di quel tipo di gare, di quella magia.

San Siro era fantastico. Si iniziava alle 18.55, la luce da tardo pomeriggio creava un contrasto unico e affascinante. Alla fine del primo tempo, invece, ecco il buio tipico della notturna, ma che in Champions sembra diverso da quello del campionato. Fa più lusso, come il verde del prato, verde speranza. L'avversario era di quelli importanti, il Tottenham di Londra, le maglie bianche, il coro strozzato “Come on You Spurs" dei duemila al seguito.

L'Inter era reduce dalla sconfitta con il Parma che tre anni fa militava in serie D, sconfitta subita solo tre giorni prima nello stesso stadio, con gli stessi sessantamila e passa. Solo quattro punti in classifica in campionato e tante polemiche per la Beneamata che alla prima aveva perso anche con il Sassuolo in barba al pronosticato ruolo di anti-Juve affidato dalla maggioranza della critica dopo l'importante campagna acquisti estiva.

Inter-Tottenham era quindi una summa di cose. Il ritorno in Champions, l'orgoglio di essere l'ultima italiana ad averla alzata, ma anche la necessità di centrare il risultato importante. Una sconfitta con la squadra di Pochettino avrebbe provocato una crisi che si sarebbe rivelata forse irreversibile già a settembre. E questa sera la trasferta di Genova con la Sampdoria capace di farne tre al Napoli e cinque al Frosinone, sarebbe stata vissuta come una agonia con epilogo facilmente prevedibile. L'Inter è stata vicina, molto vicina, ad un simile inquietante scenario. Dopo ottantacinque minuti pieni di difficoltà e incapacità di creare una sola occasione da rete, la Beneamata stava perdendo per il solito gol mix di sfortuna e responsabilità propria.

"Game over prima di cominciare quindi? E quell'Icardi che attendeva così ansioso l'esordio in Champions League? Vuoi vedere che non è quel campione che crede di essere. E poi 'sto Spalletti che cammina avanti e indietro guardando per terra...”. Quanti pensieri negativi giravano nella testa dei tifosi dell'Inter all'ottantacinquesimo. Ma quegli stessi tifosi presenti allo stadio non avevano comunque mai smesso di incitare la squadra, anzi. Proprio dopo il beffardo gol di Eriksen si sono alzati i decibel nel Tempio. Il popolo si ribellava, pur pensando negativo. La squadra ha captato l'aria, non la voleva proprio perdere la partita e tal Asamoah ha fatto vedere che in certi momenti sa cosa si debba fare, complice un vissuto che non piace, ma che vince. La palla a Icardi è una perla, il gol è Mauro Icardi. Lui questo è, prendere o lasciare. Un gol di una bellezza stordente. Il pallone colpito volutamente di esterno destro con una coordinazione da mille e una notte. La sfera blu con gli scacchi bianchi poteva finire solo lì: nell'angolo basso alla destra del portiere. Movimenti, venire incontro, giocare con la squadra. Certo, è auspicabile che Mauro migliori sotto questo profilo, ma intanto la sua prima in Champions è stata bagnata da un eurogol che ha per prima cosa evitato la sconfitta, poi ha acceso la miccia per andarsi a prendere il bottino pieno.

Ecco cosa serviva all'Inter, una giocata che la accendesse. Che spazzasse via un fastidioso torpore che non fa parte del dna nerazzurro. E l'Inter si è accesa così tanto che in cinque minuti ha prodotto pù di quanto fatto vedere in quattro gare di campionato, Bologna compresa. Vedere dopo l'1-1 la squadra spingere e il celebrato Tottenham rinculare impaurito, ha acceso ancora di più lo stadio che a quel punto era ufficialmente un fattore. L'Inter ha giocato gli ultimi minuti con il famoso dodicesimo uomo in campo che a volte viene chiamato in causa con troppa retorica. No. Martedì il pubblico ha giocato. Come a Roma lo scorso 20 maggio quando i tifosi si erano presentati in massa all'Olimpico contro la Lazio. Il copione si è ripetuto. L'ha ripresa Vecino e la Champions League ritrova una protagonista, ruolo che le assegna la storia al di la dei meriti attuali.

“We are back”, recitava del resto a inizio gara lo striscione in Curva Nord. Ma non si fa in tempo a gioire del tutto. A elaborare, a capire se sia stata vera gloria. Perché si torna già in campo. In un altro contesto, quello del campionato, per certi versi più difficile della Champions dove l'atmosfera ti spinge oltre i limiti. A Marassi contro la Samp del nerazzurro Giampaolo non basterà questa sera chiamarsi Inter, anzi. Per vincere bisognerà giocare bene, con grinta e convinzione. Quella che dovrebbe aver regalato la vittoria con il Tottenham.

In conferenza stampa Luciano Spalletti ieri ha detto che la miccia è stata accesa martedì, ma ora vuole continuità di risultati. Ma, aggiungo io, servirà anche una continuità di prestazioni. I cinque minuti che sconvolsero il mondo (nerazzurro), a Marassi non basterebbero. Anche se non li dimenticheremo tanto presto.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 22 settembre 2018 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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