Avete presente quella sensazione di leggera spensieratezza che si prova alla vigilia di una partita di calcio? Ecco, noi no. E per noi intendo gli interisti tutti. All'alba di domenica 1 maggio, possiamo serenamente asserire difatti che più che festa dei lavoratori quella di quest’anno è la festa del Gaviscon. I motivi sono piuttosto noti e probabilmente il solo intento di rimarcarli sarebbe meritevole di una denuncia penale. Accanimento terapeutico chiamasi. AAA cercasi buon umore. D’altronde si sa: se gennaio è catastrofe, maggio è apocalisse, disperazione e chi ne ha più ne metta. Non è un caso che all’indomani di quel Bologna-Inter pullulano in ogni dove i paragoni con quel 5 maggio che, con buona pace dei nostalgici intertristi, non c’entra un bel niente. Eppure c’è chi parla di Bologna come il 5 maggio. L’analogia? L’atavico masochismo interista che distrugge in un niente quanto di faticoso costruito. Ma per l’appunto la storia insegna e per tradizione e storia: il masochismo più che eccezione, per l’interista, è regola. Regola, di m***a ma pur sempre tale. Il suicidio dell’Olimpico datato 2002 sarà forse l’unico e solo suicidio della Beneamata? Non che ricordi. E come una delle persone più importanti della mia vita m’insegna (e chiedo venia in anticipo per la prima persona e il tocco così personale, oggi tutto è concesso), chi scrive spesso dimentica, ma mai le cose importanti e segnanti. Ergo: io non dimentico. Non si dimenticano facilmente tutti gli harakiri made of Inter, tutti i finali di gara e di stagione al cardiopalma, tutte le volte che “solo gli interisti sono capaci di imprese straordinarie". E anche in questo caso, in quest’ultimo passo, ogni interista che rispetti ricorderà e spero perdonerà la riesumazione di un hashtag che poi, alla fine, non portò così fortuna. Eppure, anche in quel caso l’impresa, per quanto non finì come buona parte degli italiani (e non solo nerazzurri) sperava, fu straordinaria. Straordinaria, sudata e con qualcosa di strappato da palmares, petto, cuore e anima, ma forse proprio per questo tanto degna di emozioni. Ma non divaghiamo, maestra chi scrive in questo: torniamo al “5 maggio di Bologna” che 5 maggio, ripetiamo insieme, non è, il motivo è semplice, l’Inter lo sa, e l’interista ancor di più: il leit motiv più trainante della Beneamata è di fatto, da che Inter è Inter l’autolesionismo. Tolto quello (ormai non più straordinario) analogie tra i due eventi non ce ne son più. Le spiegazioni sono semplici ed elementari. Se all’Olimpico era l’ultima delle occasioni, quella del Dall’Ara era solo una tra le altre. Sprecata sì, ma non di certo unica e sola, tantomeno l’ultima.
La squadra di Inzaghi, da quasi un anno a questa parte infatti, ha vissuto quasi una dozzina di vite, roba che i gatti cominciano a covare invidia. Qualcuno può forse negare la morte dichiarata a più e più riprese (questa ormai di moda) della squadra ad oggi col Tricolore cucito al petto? Campioni d’Italia dichiarati morti tre giorni dopo aver sollevato la Coppa sotto il cielo di un vuoto San Siro e quella era solo la prima di una lunga lista, ad oggi completata proprio dal ko del Dall'Ara e iniziata all'indomani degli addii di Achraf Hakimi e Romelu Lukaku, desiderosi, più o meno esplicitamente stando alle parole di Beppe Marotta di giovedì, di cambiare aria (e dei quali spesso si è parlato in chiave di pentimento). Partenze davanti alle quali è diventata pratica comune pronosticare un'Inter in difficoltà anche solo a rimanere tra le prime quattro a fine anno. Ma non solo, perché in mezzo c'è anche la drammatica e catastrofista narrazione dell’Inter sull’orlo del fallimento con tanto di ritratto di Zhang ad un passo dalla povertà dunque costretto ad elemosinare 'fondi'. Insomma, nulla di nuovo alle cronache, figuriamoci ai sentimenti, costretti ad una continua cardiopatia che oggi non fa più notizia, al netto delle note e reali difficoltà della proprietà, impossibili peraltro da negare, senza però dimenticare la realtà, fatta da un soldio sostegno garantito negli anni da Suning e da operazioni messe in atto per garantire la stabilità del club a più riprese citate da Inzaghi e Marotta.
All'alba dunque di un Primo maggio all'insegna di Gaviscon e Biochetasi, sarà dunque giustificato, o quantomeno compreso, chi, anche in questo caso al netto delle oggettive difficoltà e sfavoritismi della matematica, guarda ancora ad un calendario con raziocinio privo di catastrofismi e superstizioni e pronunciare un banale "stiamo a vedere ciò che succede"? C'è chi dice sì, senza però perdere di vista il pacco di Gaviscon in attesa di Fiorentina su un campo e Udinese su un altro.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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