L’Inter sta vincendo tutte le partite possibili, comprese quelle che in passato erano scogli insormontabili, sta passando sopra le difficoltà e non fa polemiche verso l’esterno ma chiedendosi più da dentro.
Battere il Torino con cattiveria, giocando su un campo oltraggiato dalla pioggia, fino ai limiti dell’impraticabilità, restare in scia di una squadra già fortissima e più completa, baciata dalla fortuna a Bergamo, è il risultato di un impressionante lavoro mentale e fisico.
Non so se e quanto l’Inter riuscirà a restare a questo livello, specie in virtù dell’ennesimo infortunio stagionale, come quello occorso a Barella. Gli esami fatti a seguito della distorsione al ginocchio hanno evidenziato un distacco di un frammento cartilagineo della rotula e per questo il giocatore sarà sottoposto a un intervento di asportazione del frammento in artroscopia. Se tutto va bene dovremmo rivederlo a gennaio, il che rappresenta un grosso guaio che si riverbererà inevitabilmente sul rendimento e i risultati della squadra a dicembre.
Sensi è in infermeria da quasi due mesi, uscito nella partita più sbagliata con la Juventus e rientrato per una breve apparizione nella disgraziata gara con il Borussia. Ora che manca anche Barella il centrocampo diventa fragile e privo di scelte. Il giocatore migliore dell’Inter nella prima parte di stagione ha fatto capire che il rientro è vicino, più facilmente nel prossimo turno di Campionato.
Rientreranno anche Gagliardini e Asamoah e domenica forse anche Politano ma è evidente che con Slavia, Spal, Roma e Barcellona, nel caso l’ultima partita conti ancora qualcosa, Conte deve sperare di avere più scelte a disposizione.
Qualcosa di simile era emerso anche nell’ultima stagione, anche in quel caso a centrocampo e quest’anno che la squadra è più che competitiva, fa rabbia essere coscienti di non potersela giocare alla pari, nonostante i giocatori diano il massimo e con la consapevolezza che con un paio di centrocampisti in più la squadra potrebbe lottare con profitto in entrambe le competizioni.È altrettanto importante comprendere le vere ragioni di una stagione tanto importante, a partire da alcuni assunti di cui si parla spesso e si mettono in pratica raramente.
L’applicazione di Conte parte da un presupposto militaresco, un carisma che trasmette valori in ogni singolo giocatore e porta tutti ad allenarsi come veri atleti. È talmente banale da sembrare stucchevole e invece la vera differenza in questi mesi, il livello più alto piombato alla Pinetina, con quel tipo di mentalità che da anni sostava nel gruppo solo sporadicamente, si è materializzato prima di tutto nell’applicazione metodica e ossessiva di una cultura del lavoro.
La parola “cultura” lascia indifferenti o fa sorridere molti, convinti che si tratti di un termine vago e che invece riassume diverse conoscenze. I giocatori dell’Inter oggi giocano in modo più convincente perché sono stati persuasi che la mentalità vincente vada coltivata in ogni angolo, anche remoto della propria mente. Per questo è stato rimosso l’inno “Pazza Inter”, scelta che non ho apprezzato ma che ho compreso, così come quella apparentemente stravagante di commentare non proprio ironicamente, persino le abitudini sessuali dei giocatori, suggerendo le posizioni meno faticose.
Abbiamo parlato tanto della mentalità vincente in questi anni ed è bene che la società la studi e la comprenda, anche per il futuro, quando Conte non sarà più il tecnico dell’Inter, per non ricominciare da capo e finire come il Manchester United del dopo Ferguson che, nonostante i tanti soldi spesi, ha fallito tante stagioni senza essere più in grado di essere ai vertici (miglior piazzamento degli ultimi 7 anni, non a caso con Mourinho al 2° posto)
Capitolo a parte per Gabigol che si trova ad essere un giocatore dell’Inter, senza essere considerato come una possibile risorsa tecnica ma solo economica.
È una scelta che Marotta avrà valutato con attenzione, ora che il prezzo del giocatore è aumentato esponenzialmente dopo la clamorosa conquista della Copa Libertadores nei minuti finali in rimonta e con una sua doppietta. Va però considerato anche il valore di un giocatore arrivato in Italia troppo giovane, sbertucciato in un anno disgraziato in cui venne presentato, suo malgrado, come il nuovo Ronaldo. Era acerbo ma non privo di talento, anche se l’anno dopo col Benfica fece anche peggio.
Tornato in Brasile al Santos e poi al Flamengo ha realizzato 40 gol e a 23 anni ha vinto la Champions League sudamericana. Non lo so se in Europa rischi di perdersi di nuovo ma basta vedere le sue partite per rendersi conto della sua maturità e sarebbe giusto che le ironie su di lui sparissero una volta per tutte, a prescindere dalla sua destinazione.
Ora testa a Praga, nella speranza che la nuova mentalità sorregga i giocatori e nutra l’impossibile.
Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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